


Le miniere di Capoliveri
Fino a non molti anni fa i percorsi del promontorio di Calamita, oggi apprezzati da bikers ed escursionisti, erano battuti quotidianamente da contadini e cavatori. Le uniche tracce dei primi sono costituite da terrazzamenti e magazzini ormai sommersi dalla macchia. Diverse ed evidenti invece le testimonianze del passato minerario, scolpite nei fianchi del monte, come rosseggianti ferite.
L'escavazione del minerale si perde nella notte dei tempi, testimoniata dai diversi ritrovamenti archeologici sia nell'aree di coltivazione che nelle vicinanze, segno che le prime frequentazioni umane della zona e le risorse minerarie di Calamita corrono di pari passo. A differenza delle miniere riesi però le nostre non seguono una linea storica continua: terminata la fase estrattiva antica occorre aspettare alla metà dell'Ottocento per sentire un nuovo risuonar di mazze.
Per tutti i secoli XVI e XVIII Calamita fu frequentata da naturalisti e geologi, che si inerpicavano su disagevoli sentieri per studiare la magnetite di cui tanto si favoleggiava, e dai capoliveresi, che vi andavano a raccogliere la calamita a cui attribuivano qualità mediche e magiche. Fu sotto il granducato lorenese che vennero aperti i primi cantieri per offrire una nuova prospettiva economica a Capoliveri, che fino ad allora viveva solo con l'agricoltura e la pesca. Fu così che anche i capoliveresi assunsero la definizione di "omini de la vena".



Le miniere capoliveresi sono tre: Calamita, Ginevro e Sassi Neri. Tutte diverse tra loro, ognuna con le sue peculiarità e la sua bellezza. Si possono raggiungere tramite la strada sterrata che compie il periplo basso del promontorio. Un percorso nato inizialmente per favorire l'avvicinamento dei cavatori ai luoghi di lavoro, altrimenti costretti a micidiali saliscendi su strette mulattiere o ad arrivarci in barca, e oggi diventato turistico con i suoi panorami mozzafiato e gli strapiombi sulla sottostante costa, le cui calette sono visibili solo abbassando lo sguardo fin quasi alla punta dei piedi. Calamita è la miniera più grande: parte dai circa 300 metri di poggio Polveraio per arrivare al livello del mare. Viene tagliata in due dalla strada comunale. E' costituita da diversi cantieri di cui i principali sono Vallone, Macei, le Piane e Punta Rossa. Molti di essi, specialmente quelli in cui l'escavazione è iniziata nell'Ottocento e dopo pochi decenni è stata interrotta, sono oggi coperti dalla macchia, i cui colori (soprattutto il giallo delle fioriture di ginestra) si confondono al rosso e all'arancio delle terre ferrifere, in un bellissimo effetto scenografico.
Il minerale principalmente estratto era la magnetite, mentre in misura minore vi si trovavano limonite ed ematite. Vi è stato trovato anche il rame sia in forma nativa che in altre mineralizzazioni (malachite e azzurrite, soprattutto), e nel cantiere Vallone vi si aprivano in passato le Grotta Rame e Grotta dell'Ebreo. Per questa ragione è fondato il sospetto che in tempi molto antichi in questa zona avvenisse l'estrazione di rame prima ancora di quella del ferro. In questa miniera sono stati scoperti anche due nuovi minerali: la minguzzite (nel cantiere Vallone) e la bonattite (a Macei). Moltissimi sono gli edifici, attualmente abbandonati, che punteggiano la miniera: il palazzo, sede degli uffici minerari locali, la costruzione a piani degradante verso il mare della laveria,i piani inclinati, le polveriere, etc. Dalla fattoria Ripalte una deviazione che scende verso il mare ci porta al Ginevro, una zona di estrazione incassata in una valle tra i fianchi delle coste rocciose.
Ginevro è l'unica miniera elbana in cui è stata intrapresa un'escavazione in galleria. Inizialmente lo sfruttamento è avvenuto in superficie e a gradoni come per tutte le altre. I primi scavi sono attestati alla fine dell'Ottocento, ma i lavori più massicci sono iniziati tra le due guerre: dal 1928 al 1969 ancora a cielo aperto, in seguito fino alla chiusura del 1981 in galleria, fino a toccare quota -54 metri. Il minerale estratto era la magnetite. Gli impianti, attualmente in manutenzione conservativa, erano tra i più moderni in Europa. Il minerale veniva "appezzato" nel frantoio della galleria, portato in superficie tramite un ascensore a gabbia, passato sotto silos, caricato su nastro trasportatore fino alla laveria per poi essere imbarcato. Sassi Neri è la miniera più piccola, tanto che sarebbe più appropriato chiamarlo cantiere se non fosse distante dalla altre due cave. Si trova lungo la strada che dalla fattoria delle Ripalte scende verso Straccoligno, in un tratto di costa di selvaggia bellezza.
La sua caratteristica principale è il laghetto artificiale che si è formato nella conca di scavo. Meno noto di quello di Terranera è però inquadrato in uno scenario naturale molto più verdeggiante. I lavori sono iniziati nel 1935 e sono terminati nel 1980. La zona soprastrada è stata invece sfruttata fino al 1958. Anche qui il minerale scavato era la magnetite, mentre vi sono stati trovati cristalli di ilvaite, pirite e goethite. Dalla cessazione dei lavori le miniere sono state pressochè lasciate all'abbandono (a parte il Ginevro che, come detto, è in manutenzione conservativa). Adesso sono in attesa di un rilancio turistico: interventi che le rendano fruibili ai visitatori e terreno di studio per scienziati, certo, ma anche monumento perenne al lavoro, alla fatica, agli infortuni, alla vita e alla morte di generazioni di cavatori che qui hanno lasciato interi mesi della loro esistenza, invecchiando precocemente.


