Si trova poco fuori l'abitato di Capoliveri, sul versante settentrionale, a 114 metri di quota. L'accesso non è segnalato, ma facilmente individuabile.
Dalla strada provinciale, poche decine di metri prima dell'ingresso in paese, sulla sinistra si stacca una strada in cemento e in forte discesa, che in breve ciò porta al complesso. Vestigia di un antico tracciato medievale, forse il principale accesso al borgo in tempi pisani, essa faceva parte di un più lungo tratturo che univa Capoliveri a Mola, dove si congiungeva alla strada principale per Ferraia e Rio. Attualmente l'edificio non è visitabile all'interno.
L'ambiente circostante è profondamente mutato negli ultimi anni: le coltivazioni, che un tempo circondavano la chiesa, hanno oggi lasciato spazio a macchia e villette. Bello comunque il panorama dal piazzale antistante la struttura sulle sottostanti Porto Azzurro e piana di Mola, cinta da aspre e rosseggianti colline. E anche Capoliveri da qui è vista in una prospettiva diversa.
Da non perdere a febbraio-marzo le fioriture di mandorli del piazzale stesso, i cui candidi veli bianchi si confondono con il chiarore delle mura medievali.
La struttura attuale è molto diversa da quella originaria. Infatti nella prima metà dell'Ottocento la chiesa romanica, ormai diruta, fu convertita in camposanto. Dell'edificio medievale rimangono solo due spezzoni, l'abside e una parte del muro nord. L'abside semicircolare è scandita da sei paraste con basi e semicapitelli (vedi foto) sagomati, sormontate da coppie di arcatelle pensili e cieche. Al centro si apre una monofora a doppio strombo. Il tetto a catino a un quarto di sfera non è più l'originale, ma fedele a esso. Tra quelle elbane è senza dubbio la più elegante. Il tratto murario rimasto mostra molto bene lo zoccolo, concluso superiormente da una modanatura a gola dritta, e la lesena angolare, nonché il regolare bozzato a calcare rosa locale. Del resto della chiesa, i cui ruderi erano ancora visibili agli inizi dell'Ottocento, non rimane altro se non nelle fondamenta. E' possibile farsene un'idea solo sulla base di supposizioni e documenti antichi. Era a navata unica, lunga 16,7 metri (abside esclusa) e larga 7,5. Sicuramente sul muro nord si apriva una porticina secondaria, ancora visibile nel Settecento. Molto probabilmente sulla facciata si trovava il campanile a vela, tipico delle altre romaniche isolane, e il tetto doveva essere a capanna e a capriate lignee. Sulla parte alta dei muri est e ovest si dovevano trovare anche le finestrelle a croce greca, anch'esse comuni nelle altre chiese del periodo. Altre monofore si dovevano aprire nei muri laterali. Impossibile invece dire se la facciata fosse semplice e austera, come quella delle romaniche dell'Elba occidentale, o presentasse particolarità architettoniche come Santo Stefano alle Trane; per dai resti delle fondamenta sembrerebbe essere stata inquadrata da lesene laterali. Nessuna traccia anche del pavimento. Con la costruzione del cimitero l'abside fu inglobata nella nuova cappella in stile neoclassico che ancora oggi si vede; e lo spezzone di muro nord fece da base alla cinta del camposanto. I resti degli altri muri perimetrali furono invece abbattuti per lasciare spazio al terreno di sepoltura
La chiesa fu costruita molto probabilmente nella prima metà del XII secolo. Vi sono probabilità che sorgesse su un edificio più antico, come farebbe supporre lo zoccolo di base. Potrebbe essere di origine romana, dato che qui Giacomo Mellini vi ha ritrovato monete del periodo. O forse longobarda, poiché il culto verso san Michele era molto sentito dal popolo del nord. Era una delle quattro chiese elbane (insieme a San Lorenzo di Marciana, San Giovanni in Campo e San Giovanni e Silvestro a Ferraia) che poteva fregiarsi del titolo di plebania: essa comportava l'esclusività della fonte battesimale.
La sua importanza and accrescendosi con il passare degli anni: nel 1302 la sua decima era la più alta tra le chiese elbane con 5 libbre pisane e dieci soldi. Un bell'incremento se pensiamo che appena quattro anni prima era circa la metà . Va anche ricordato un documento del 1235, nel quale l'abate del monastero di Vada cedeva in enfiteusi a San Michele la chiesa di San Felice di Cruce (borgo isolano oggi non più esistente) con i suoi beni, in cambio di un canone annuo di otto libbre pisane.
L'episodio a cui è rimasta legata è la messa papale che vi celebrò Gregorio XI il 18 novembre 1376. A tutt'oggi è l'unica chiesa isolana ad aver goduto di questo privilegio. La visita del papa avvenne casualmente durante il celebre viaggio che riportava la sede pontificia da Avignone a Roma. Il convoglio papale fu costretto a numerose soste per le avverse condizioni marine. Due furono all'Elba, e una di esse nel golfo di Mola. Gregorio sbarcò, sentendo la necessità di officiare messa nel luogo sacro più vicino.
Così si portò a piedi, col suo seguito (di cui pare facesse parte anche santa Caterina da Siena), a San Michele, accolto dai festanti elbani. Purtroppo arrivò il momento della fine per la nostra splendida chiesa.
Alla metà del XVI secolo devastanti scorrerie piratesche, prima a opera di Barbarossa e quindi di Dragut, devastarono l'isola. Anche San Michele non ne and immune, ma a differenza di altri edifici non fu più riattata, forse perché, essendo fuori mura e in un punto esposto, difficilmente difendibile dagli attacchi. Cominci così un lungo periodo di oblio.
Nel 1729 Coresi del Bruno ce la descrive come tempietto antico coperto di lavagne, con un nicchio grande ove è posto l'altare.
Nel 1738 il governatore di Piombino Antonio Ferri dice che era affatto scoperta, ma con le muraglie perimetrali ancora in piedi, composte di marmi perfetti, interi e sani et egregiamente conservati. In una parte della sua relazione avanza anche il progetto di risarcirla. Interessante venire a sapere dallo stesso che sulla porta laterale si trovava lo stemma dei principi Appiani, evidentemente in seguito andato perso.
Non è ben chiaro quando fu decisa la rifondazione a camposanto dell'area. Alcuni vogliono che ciò fosse nei primi anni del XIX secolo, sotto la dominazione francese, quando all'Elba entrarono in vigore le leggi di Parigi, ivi compresa quella che proibiva l'inumazione nelle chiese e istituiva i cimiteri.
E' probabile per che potesse essere costruito intorno al 1820, quando l'isola fu riorganizzata secondo le normative del nuovo governo, quello del granducato di Toscana.
Di certo si sa che le ultime tumulazioni risalgono al 1907, anno in cui fu inaugurato il cimitero attuale. Fu così costruita la cinta muraria, utilizzando anche alcuni conci della chiesa distrutta; l'abside fu inglobata nella nuova cappella, dotata di un altare a muro che chiuse la monofora ( fu riaperta solo nel 1975); e fu realizzato il bell'ingresso fiancheggiato da pilastri a bozze di stucco. Dalla chiusura del cimitero inizi per San Michele il secondo periodo d'oblio, durato circa un secolo.
La zona fu abbandonata completamente e lasciata in balia delle offese del tempo e umane. Vi furono devastazioni e saccheggi, l'ossario all'interno della cappella fu sconvolto, e addirittura per un certo periodo l'interno della cinta fu adibito a chiusa per armenti. Solo nel 2001 furono avviati i lavori di restauro, diretti da Massimo Ricci.
Le parti romaniche furono riportate allo splendore originario, furono risarcite le strutture ottocentesche (soprattutto il muro di cinta nordest, che mostrava preoccupanti cedimenti), vennero ricostruiti infissi e porte fedeli agli originali alla cappella ottocentesca e venne aperta una piazzola di sosta panoramica illuminata sotto la chiesa.
Delle tumulazioni ottocentesche attualmente non rimane niente. Infatti nel secondo dopoguerra fu costruito l'ossario all'interno della cappella neoclassica, dove vennero spostati tutti i resti.
Le lapidi e le croci all'interno della cinta sparirono in progresso di tempo, anche a causa delle intemperanze umane. Solo una lapide oggi rimane a testimonianza del suo passato di cimitero.
Essa si trova murata sulla facciata della cappella, conservata forse per essere particolarmente toccante. Reca infatti scritto: Gino, di Ermete Danesi e di Elisa Manzi, nato il 14 maggio 1891, morto il 20 marzo 1892. A nostro figlio P. M.