Si trova lungo la strada privata che da Calanova sale alla fattoria Ripalte. La sterrata ci passa proprio in mezzo, tagliando in due la cava superiore di essa, a 47 metri di altezza, e l'ampio bacino inferiore, in cui si estende il laghetto, quest'ultimo a 4 metri sul livello del mare. La cava è circoscritta a nord da punta Nera, a est dal mare, a sud dalle propaggini del promontorio di capo Calvo, a ovest dai fianchi della collina scavata dal fosso di punta Nera.
La cava sopra strada è profondamente incassata nella verdeggiante valle che fende gli aspri fianchi orientali del massiccio del monte Calamita. Qui fu coltivata una lente a magnetite associata a silicati di ferro, lunga 9 metri, la minore delle due di Sassi Neri. L'escavazione è iniziata nel 1937, quando la lente di minerale fu scoperta da un rilevamento geomagnetico con bilancia di Schmidt, e si è conclusa nel 1958. Oggi è difficilmente esplorabile perché la macchia è tornata regina del suolo.
Di fronte la cava inizia la strada che ci porta alla miniera inferiore. Dopo pochi metri si incontra l'unica costruzione di pertinenza della cava, su cui spicca la grande scritta in rilievo FERROMIN MINIERA SASSI NERI. L'edificio è diviso in sei ambienti: il deposito dell'olio, il vano che ospitava il compressore, e le stanze di pertinenza degli operai e del personale.
Proseguendo lungo la strada, costeggiamo l'area di scavo e scendiamo verso il laghetto, attrazione scenografica del luogo, di acqua dolce, dal colore verdastro in contrasto con le rocce scure e rosse degli alti fronti di scavo che lo sovrastano, circondandolo quasi interamente. Nonostante l'estensione modesta, la profondità è stata calcolata in ben 10 metri. Il bacino si è venuto a creare infatti per la coltivazione di una vena in profondità.1 Sul lato ovest della depressione fu anche edificato un opificio, oggi completamente sommerso, di cui difficilmente si scorgono le forme in superficie. I lavori di questa conca sono durati più a lungo, fino al 1980, anche se non in maniera continua.2
Il braccio di terra che lo separa dal mare è formato da una collinetta risparmiata dalle escavazioni, che hanno creato così una barriera naturale agli impetuosi venti orientali. Per questo dalla conca del laghetto è impossibile vedere il mare, anche se il suono delle onde ci segnala che è a pochissimi metri di distanza. Cannucce di palude cingono le sue rive, e solo a tratti presenta una vegetazione acquatica.
Sul lato mare la costa si presenta bassa e rocciosa, e solo una piccola spiaggia si apre poco più a nord. Vicina a essa si notano ancora i resti della base di cemento del pontile di caricamento. Questo era di pochi metri e di piccole dimensioni.3
Il giacimento dei Sassi Neri era modesto, essendo un appendice di quello del Ginevro. La stima lo fissa sulle 200mila tonnellate, di cui ne furono sfruttate solo la metà. Anche qui dunque l'estrazione non fu chiusa per esaurimento, ma per un cambio della politica economica nazionale sulle riserve minerarie interne, che favorì un'importazione delle materie prime dall'estero. Il periodo di massimo sfruttamento è tra il 1967 e il 1973, con una resa di circa 10 mila tonnellate annue.
Anche a Sassi Neri il minerale ferroso è formato da magnetite in masse a skarn, ma a giacitura sub-orizzontale a differenza del Ginevro (che invece presenta una giacitura sub-verticale). Il minerale è però leggermente più ricco di zolfo e più tenace alla frattura per la presenza di anfiboli e pirosseni. Anche qui le vene sono incassate nello gneiss di Calamita, con andalusite e spessartite a rappresentare le zone di contatto4. La formazione delle vene è stata ipotizzata con l'intrusione acida di Porto Azzurro, che inizia con la messa in posto dei filoni aplitici-tormaliniferi e termina con filoncelli in tremolite, calcite e quarzo.
Ai Sassi Neri sono state trovate cristallizzazioni interessanti. Ovviamente molte di esse si ritrovano anche al Ginevro, poiché come abbiamo visto questa miniera è un po' la gemella minore di quella vicina. Tra gli ossidi comune è l'anatasio, in cristalli submillimetrici di colore rosso. I silicati sono ben rappresentati dal clinocloro, in forma di globuletti costituiti da lamine cristalline di colore verde-nero; e dalla ferropargasite, in grandi aggregati fibrosi cristallini lucenti di colore anch'esso verde-nero; unita a questi sono anche piccoli cristalli di ortoclasio; comune è anche la tremolite; in misura minore si rinvengono anche l'hastingsite, l'actinolite, l'albite e la titanite. Un solfato presente, seppur raro, è la melanterite. Tra i solfuri è presente la pirrotina, in forma monoclina.5
Autore: Andrea Galassi
1 Testimonianze di ex cavatori. Questi raccontano che per aspirare l'acqua che invadeva il bacino erano attive due pompe mobili con motore a scoppio, che venivano spostate su binari.
2 Sempre secondo le dichiarazioni degli ex minatori, in questo cantiere vi lavoravano un numero ridottissimo di operai.
3 I cavatori che hanno lavorato a Sassi Neri assicurano che qui potevano caricare chiatte di minor tonnellaggio per le condizioni di imbarco più limitate rispetto ai pontili di Calamita e Ginevro e per la modesta estrazione di minerale di questa cava. Inoltre la modestia del cantiere non favorì la costruzione di opifici per un primo trattamento del minerale: esso veniva dunque portato agli impianti di frantumazione e separazione magnetica della vicina miniera del Ginevro.
4 GIUSEPPE TANELLI, MARCO BENVENUTI Guida ai minerali dell'isola d'Elba e del campigliese; Portoferraio 1998; pag. 99-100
5 GIUSEPPE TANELLI, MARCO BENVENUTI op. cit.; pag. 126 e seg. AA.VV. Elba Territorio e civiltà di un'isola; Genova 2001; pag. 83 e seg.