Si trova sulle pendici del monte Giove, a 627 metri di quota, in un ambiente suggestivo, purtroppo reso brullo dagli incendi, ma dal fascino indiscutibile. Il panorama che si gode da quassù è notevole, spaziando su buona parte del versante settentrionale dell'isola.
Si raggiunge da un sentiero in salita largo e lastricato, fiancheggiato dalle cappelle della via crucis. Dal paese di Marciana occorrono tre quarti d'ora di cammino. Il santuario tra l'altro fa da crocevia a diversi sentieri molto interessanti della zona.
La visita all'interno del santuario è spesso possibile, in quanto alcuni giorni viene aperto.
La pianta dell'edificio, a un'unica navata, è rettangolare e frutto di alcuni ampliamenti. La chiesa misura complessivamente 27,90 metri ed è largo 10,10 metri. Internamente è lungo 20,05 metri, di cui 14,60 della sola navata. La struttura è divisa in tre parti, realizzate in periodi differenti: il coro, la navata e il presbiterio. Il primo poggia su quattro colonne doriche ed è coperto da una volta a vela dipinta a pseudocupola cassettonata e sfondata. La navata è coperta da due volte a crociera. Infine il presbiterio risolto con un'altra volta a vela emergente dal tetto con un padiglione e dipinta a pseudocrociera neogotica. Il tetto dell'edificio è a capanna, intramezzato da due padiglioni.
La facciata è divisa in due prospetti, entrambi molto semplici. La parte bassa presenta il portale sovrastato da un timpano triangolare. Sopra la porta una sorta di rosone cieco di vaga forma quadrilatera. La facciata è anche scandita da quattro lesene, su cui poggia un cornicione spezzato dal rosone sopra detto. Essa è conclusa con la cornice della falda del tetto. Lo stesso motivo a lesene ritorna nella parte superiore, un'elevazione quadrangolare poggiante sul padiglione sopra il presbiterio.
Il campanile è l'ultimo apporto strutturale al santuario, essendo stato costruito nel Novecento. Addossato esattamente al centro del muro posteriore, supera in altezza l'edificio di circa il doppio. Di linee eleganti, con la sua torre merlata, vi si aprono una bifora, a metà altezza, e le aperture delle campane, nella parte alta. Le tre campane sono state comprate dai fedeli: la prima dai marcianesi in ricordo dei caduti della Prima guerra mondiale, la seconda dall'Opera del santuario e la terza da Vincenzo Costa, agricoltore chiessinco. La pietra di costruzione è il granito locale, che vediamo nel bozzato alla base del campanile.
Appena entrati, sulla destra, c' l'acquasantiera in marmo, che risale al 1609 come riporta l'incisione su di essa. L'altare maggiore, anch'esso in marmo, fu realizzato nel 1661 grazie ai fondi dell'Opera del santuario. Sulla colonna destra sono riportati in latino la fondazione e il nome dei due costruttori: Costruito dall'Opera con i denari della chiesa essendo operai il tenente Ascanio Paolini e Domenico Murzi. Sempre nello stesso anno furono costruite le due colonne di ordine toscano che sostengono un frontone soprastante l'altare. Sui due piedistalli delle colonne vi sono epigrafi sempre in latino. Una reca scritto: Contempla, o peccatore, la Madre e piangi le tue colpe. Se pio e umile ti avvicinerai, i cieli per te stilleranno dolcezza; e l'altra: Corri frettoloso al sacro altare ed invoca la grande potenza della Madre di Dio. Essa dal sommo dei cieli, a te misero porgendo il suo aiuto, otterrà generoso perdono delle tue colpe. Sul frontone è scritto Refugium Peccatorum insieme al nome di Maria.
Il pezzo forte della chiesa sopra l'altare, murato nella parete: l'affresco della Madonna assunta in cielo. La pittura è su un sasso di granito, su una base grossolanamente preparata a calce, di probabile scuola toscana. Secondo la leggenda sarebbe nato cos, per volere divino. A trovarlo furono alcuni pastori laddove oggi accoccolato il santuario. Avvertiti gli altri terrazzani di Marciana, il sasso sacro fu portato in paese per custodirlo fino alla costruzione di una chiesa a esso dedicata in località Campo al Castagno. Ma la Madonna assunta prediligeva più le pendici impervie del monte Giove al luogo scelto dai marcianesi. E così la pietra si trasferì miracolosamente al suo posto, dove finalmente i fedeli, con buona pace delle loro gambe, gli costruirono una nicchia.
L'affresco, così come oggi lo vediamo, pare non essere l'originale, o meglio solo la figura della Madonna lo . Le altre figure sono state aggiunte o ridipinte presumibilmente durante i lavori di costruzione dell'altare seicentesco. L'opera mostra la Vergine a mani giunte, vestita di un lungo abito azzurro e un corpetto rosso. Appare seduta, con il volto reclinato e in serena contemplazione. L'intera figura è circondata da un nimbo ovale, quasi fosse una aureola sfolgorante. Ai lati vi sono degli angeli. Queste figure secondarie furono aggiunte con una tela sovrapposta.
Le pareti interne non presentano affreschi, tranne quelli ottocenteschi sulle volte del soffitto. Ma recentemente è stata fatta una scoperta che ha mandato in fibrillazione la comunità culturale elbana. Nel 1995 l'architetto Paolo Ferruzzi, durante il restauro alle decorazioni interne, ha riportato alla luce affreschi cinquecenteschi attribuili al Sodoma. L'opera si trova nell'arco che corona l'altare. Forse l'autore lavorò qui nell'estate del 1537, quando era al servizio del principe di Piombino Jacopo V Appiano.
All'interno del santuario sono da segnalare anche gli altari laterali, consacrati a santa Monica, santa Lucia, san Nicola da Tolentino e sant'Agostino.
Un'altra chicca architettonica della Madonna del Monte è l'esedra del 1698, proprio di fronte alla facciata, detta comunemente Teatro della fontana. Le bocche della fontana sono tre, ma ne butta solo una, alimentata da una ricca e fresca sorgente dei paraggi.
L'esedra è decorata da lesene doriche, e le bocche da mascheroni. Anche questa costruzione è stata realizzata in granito locale. Al centro, sopra una bocca, si trova un rilievo marmoreo di un crocefisso. Sempre qui c' anche la seguente iscrizione: Questo teatro della fonte fu principiato l'anno della salvezza di Nostro Signore 1693, camarlingo proponente Lorenzo Pieruzzini e perfetto tutto l'anno 1698, maestro Pellegrino Calani da Filetto d'Onigana, camarlingo il signor sergente maggiore Cerbone Paolini e operaio il sopradetto Pieruzzini.
L'altro edificio vicino alla chiesa è il romitorio. Composto di sei stanze, poste tutte sullo stesso piano del santuario, vi sono anche ambienti seminterrati, usati un tempo come magazzini, cantine e stalle.
L'impianto originario della chiesa è romanico, molto probabilmente del XII secolo, e a opera dei pisani. Il primo documento che ciò parla del tempio è trecentesco. Ma in progresso di tempo verrà ingrandito e abbellito.
Fino alla metà del Cinquecento l'edificio era più piccolo dell'attuale di circa la metà . In quegli anni fu ingrandito fino al centro dell'odierna navata, dove si apriva il portale. Fu del 1595 l'ampliamento fino alla pianta definitiva. Quest'ultimo lavoro è attribuito a Cerbonio di Antonio di Lion. Forse è in questa fase che il tempio perse le sue antiche linee romaniche per assumere quelle barocche, tipiche delle spinte controriformatrici. Sicuramente è in questo periodo che la Madonna del Monte si ritagli un ruolo primario nel panorama dei luoghi di culto isolani: questi lavori, che proseguiranno anche nel secolo seguente, sembrano testimoniarlo egregiamente. I lavori furono finanziati dall'Opera del santuario (retta da un camerlengo e due operai), che poteva godere di notevoli rendite, come quelle dei terreni di proprietà dal santuario, grazie anche ai numerosi e ricchi lasciti testamentari di facoltosi devoti. Riceveva inoltre una decima periodica di un paolo.
Il XVII secolo dovette essere il periodo più votato all'abbellimento che all'accrescimento. Nel 1608 furono realizzati due altari laterali con dipinti di autore ignoto, entrambi consacrati alla Madonna. Nello stesso anno venne condotto un intervento di ristrutturazione. L'anno dopo fu posta la nuova acquasantiera. Sono presumibilmente della prima metà del Seicento i lavori della sacrestia. I lavori furono commissionati da tale Grimaldi, funzionario del principato, quando questo era retto da Isabella Mendoza, vedova di Alessandro Appiani. A ricordo fu posto lo stemma nobiliare del benefattore, che vediamo sul muro posteriore del santuario, a destra del campanile.
Fondatore dei passionisti, san Paolo della croce visitò molto spesso l'Elba, impartendo benedizioni e prestando aiuto, ma soprattutto cercando di fondarvi un ritiro per i padri del suo ordine.
I marcianesi rimasero molto colpiti da quest'uomo vestito miseramente e senza calzari; si commossero nel vedere con quanta veemenza si flagellava durante i suoi sermoni, e a quale estremo aveva portato la sua vita. Anche il santo era rimasto stupito dalla calma del posto, tanto che dopo una prima visita alla Madonna del Monte vi si trattenne quindici giorni, nel luglio del 1735. Non fu l'unico soggiorno: un altro avvenne tra la metà di settembre e i primi di ottobre dello stesso anno. Per due volte tentò di fondarvi un convento per i padri del suo ordine, ma senza successo.
Il XVIII secolo si chiuse con l'occupazione francese dell'Elba, prontamente contrastata dal presidio napoletano di Longone e dagli elbani stessi. La miracolosa vittoria fu festeggiata dai marcianesi rendendo omaggio alla tradizionale dispensatrice di miracoli.
Il 25 luglio 1799 i paesani con alla testa il governatore, gli anziani e il clero, si recarono in processione al santuario. Il bottino di guerra fu depositato ai piedi dell'altare e, a ricordo dell'impresa, fu posta una tavoletta di legno nera con una scritta gialla:
M. AET. / HAEC PATRIAE MONUMENTA VIRTUTIS / HOSTIBUS PLURIES VICTIS FUGATIS DELETIS / EREPTA / DEIPARAE PATRONAE ADIUTRICI / IN OBSEQUENTIS GRATIQUE ANIMI / ARGUMENTUM / POPULUS MARCIANENSIS / A. R. S. 1799.
Dal 23 agosto al 5 settembre 1814 il santuario accolse Napoleone, che si era rifugiato qui per sfuggire alla calura di Portoferraio. L'episodio saliente di questo soggiorno è l'incontro con l'amante Maria Walewska e il figlio. La sosta è ricordata da una lapide sulla parete del romitorio.
Il XIX secolo trascorse senza altri sussulti. L'unica cosa rimarchevole è la realizzazione degli affreschi del soffitto, di cui l'ultimo, nel 1875, riguardò la cupola sopra l'altare.
Finalmente nel 1921 venne innalzata la torre campanaria, l'ultimo apporto strutturale. L'opera fu firmata dall'ingegner Castelli.
Nell'Ottocento anche alla Madonna del Monte, come in tutti gli altri santuari elbani, terminò la custodia dei romiti. Della loro vita al santuario abbiamo uno spaccato grazie a un documento cinquecentesco. I loro abiti davano la parvenza di una semplicità di esistenza: erano una sorta di sacchi azzurri, detti sai mariani. Ma gli introiti delle loro attività dovevano essere di non poco conto. Il più giovane d'età girava di cantina in cantina per chiedere vino, che raccoglieva in un otre di pelle caprina, per portarlo in una cantina propria.
Da essa, in seguito e con calma, veniva caricato sul dorso di un mulo per prendere la via della Madonna del Monte. Per ogni botte di vino venduta ricevevano un paolo, e una parte dei commerci delle produzioni ricavati dai terreni della chiesa spettavo loro. Inoltre c'erano i proventi delle questue.
Ci sembra interessante spendere qualche parola sull'ospite più illustre della Madonna del Monte, una bella figura nella sua storia: san Paolo della croce. La vita di Danei era molto parca. Dormiva seduto su un pagliericcio con le spalle al muro e le braccia incrociate sul petto. Il suo pasto era ancora più semplice: pane bollito, inzuppato nell'acqua. Il romito del santuario Domenico Pisani e il cappellano Giovanni Vai, mossi a pietà dalle sue diete, arrivarono a offrirgli le loro porzioni. La sua giornata trascorreva tra preghiere e penitenze, condite da molte lacrime.
Se poco chiese, molto dette: pare che diverse persone ricevettero la salute dalle mani miracolose del santo. Anche il romito Pisani fu tra questi. Al momento della partenza di Danei, Domenico gli manifestò le forti emicranie che lo assillavano da tre anni. Per sdebitarsi dell'incomodo datogli durante il soggiorno Paolo lo guarì con il semplice tocco della mano sulla fronte. A detta di Pisani il mal di testa non lo afflisse più per quarant'anni.
A un giovane della famiglia Anselmi, che forse soffriva di ernia, il santo fece il segno della croce sulla fronte, chiedendogli: Francesco, avete fede nella Santissima Vergine de' sette dolori, ch è preghi il suo divin figlio che vi faccia guarire? Alla risposta affermativa del ragazzo, Danei compì il miracolo. Francesco sgambettò felice verso la chiesa a chiedere grazie. Al gonfaloniere di Marciana Giuseppe Claris guarì la gotta, che lo costringeva a casa il 2 luglio, impossibilitandolo a rendere omaggio al sant'uomo. Fu allora Paolo ad andare a casa dell'ammalato per liberarlo dal male.
A ricordo della visita al santuario fu raffigurato un vetro policromo, che raffigura il fondatore dei passionisti mentre raggiunge la Madonna del Monte dalla spiaggia di Sant'Andrea, dove pare fosse sbarcato dopo una missione a Capraia. Il vetro si trova nella parete nord vicino a un altro dedicato a san Cerbone.