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Isola d'Elba / Romitorio di San Cerbone

Romitorio San Cerbone

Posizione: Romitorio di San Cerbone

Si trova sulle pendici settentrionali del monte Capanne, tra i paesi di Marciana e Poggio.

L'ambiente naturale circostante è a dir poco spettacolare: un bellissimo castagneto cinge l'edificio quasi a volerlo proteggere. L'abbraccio con la vegetazione è talmente stretto che è impossibile vedere la chiesa da lontano: solo a poche decine di metri da essa, al termine dei sentieri di accesso si scopre allo sguardo.

Si arriva al romitorio tramite una strada sterrata che parte dalla provinciale è Marciana-Poggio, all'altezza del cimitero del secondo paese. La strada è però privata e sbarrata, quindi non percorribile da mezzi meccanici.

Tuttavia rappresenta una bella passeggiata di mezz'ora sotto il castagneto. In alternativa, c'è un sentiero da Marciana, segnato con il numero 1, anch'esso molto bello dal punto di vista naturale.

E' molto difficile visitare la chiesa all'interno, essendo quasi sempre chiusa. Si può comunque dare una sbirciata da una finestra sulla facciata.

L'edificio: Romitorio di San Cerbone

La struttura della chiesa è quanto di più semplice si possa immaginare: a una sola navata, con il soffitto a travi, il pavimento in cotto e nessun fregio né affresco.

L'altare, anch'esso molto sobrio, conserva l'immagine di san Cerbone, restaurata di recente, dopo che per lungo tempo è stata conservata a Poggio.

Vi è anche un altare laterale a destra, ma senza fregi. La facciata si presenta con una porta riquadrata in pietra, sormontata da un timpano spezzato ad arco. Sopra a essi c'è un oculo ovale cieco.

Ai lati della porta si aprono due finestrelle, anch'esse in pietra e protette da inferriate. Sono entrambe aperte per consentire di vedere l'altare anche a romitorio chiuso. A sormontare la facciata vi è il piccolo campanile a vela. Per quanto riguarda gli edifici annessi, la ex casa dei romiti è attigua alla chiesa, sul retro di essa.

La storia: Romitorio di San Cerbone

La tradizione popolare tramanda che poco tempo dopo la morte di Cerbone fosse costruita la chiesa nel luogo in cui soggiornò. Non ciò sono prove storiche che suffraghino questa credenza: se fosse vera farebbe di questo monumento il più antico dell'isola.

L'edificio esisteva sicuramente nel 1421, quando venne fondato un convento. L'opera fu fortemente voluta da san Bernardino Albizzeschi da Siena, quando venne eletto commissario generale degli osservanti dell'Umbria e della Toscana. Grazie all'assenso del principe di Piombino Jacopo II, il padre Tommaso da Firenze inaugurò il nuovo luogo sacro.

A proposito della costruzione del tempio c'è da notare un fatto curioso. All'epoca lo stato piombinese era diviso amministrativamente da una serie di comunità, ognuna regolata da ben precisi statuti. A differenza di oggi Marciana e Poggio erano due comuni separati, e guarda caso il confine tra i due passava proprio per l'edificio di San Cerbone: l'ingresso e metà navata erano in territorio marcianese; coro e convento in quello pogginco. Pare che Jacopo II stesso avesse espresso la volontà di far costruire il convento in tale condizione. La scelta potrebbe essere nata, come si suol dire, per dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Infatti marcianesi e pogginchi, sebbene vicini e cugini, non nutrivano affetto reciproco. E poiché le questioni di campanile tra gli elbani sono secolari e aspre, la cosa dava motivo di preoccupazione al principe. Jacopo dunque pensò di trovare un punto di accordo su due cose che stavano molto a cuore a entrambi i terrazzani: la fede religiosa e il culto di San Cerbone. Fu forse questa la ragione di una simile divisione.

Il convento però non ebbe vita lunga. Sebbene non vi siano riferimenti precisi al periodo, sappiamo che i frati lasciarono San Cerbone a causa dell'asprezza e della difficoltà di raggiungimento del luogo. Il vicario della provincia si rifiutò di visitarlo proprio per queste ragioni.

Probabilmente l'abbandono dei frati fece cadere la chiesa in uno stato di degrado, se non di semiabbandono. Infatti nel 1736, durante una visita sull'isola, il governatore generale del principato di Piombino Antonio Ferri scrive: il tetto della medesima è quasi tutto scoperto. Nella stessa relazione si legge anche che l'oratorio si mantiene di carità e sonovi due stanze alle parti laterali verso tramontana, discosto dalla detta chiesa venticinque passi, ove abitano due eremiti che vivono di carità.

Lasciato dai frati, fu infatti preso in custodia dai romiti. Questi vestivano un saio nero con la croce di san Cerbone, cucita sul petto. Oltre a gestire i terreni intorno alla chiesa, vivevano della questua e delle elemosine che venivano loro offerte. Riscuotevano anche una decima anche sulle pescagioni dei marinesi, che infatti nutrivano una predilezione per il santo africano.

Nel 1815, dopo la parentesi elbana di Napoleone, l'isola entrò interamente a far parte del granducato di Toscana. Il nuovo governo abolì la decima sulla pesca, e il nostro romitorio rimase senza forme di entrata. Il cappellano di allora provò a ristabilirla, e chiese che fosse quantomeno il granducato a effettuare un lascito. I tentativi andarono a vuoto, ma almeno ciò fu l'interessamento del vescovo, attaccato a un luogo di culto consacrato al patrono della diocesi, che adottò una serie di decreti per non abbandonare il luogo sacro.

L'Ottocento fu però il secolo che vide la decadenza del tempio. Non solo la privazione della decima, ma anche il venir meno della speciale attenzione che la curia vescovile nutriva per la nostra chiesa si fece pesare. Fin dalla sua fondazione infatti i vescovi se ne erano assunti l'assoluto padronato a discapito del principato di Piombino, che pure poteva accampare qualche diritto. Nel 1868 però furono applicate le leggi sulle guarentigie, che toglievano i beni al romitorio per passarli al regno d'Italia. Tutto ciò che non era sacro fu messo all'asta, ed è per questo che la parte abitativa del complesso è oggi proprietà privata. Anche i terreni passarono a privati, tranne un piccolissimo appezzamento vicino. E' alla metà del secolo che l'ultimo romito ebbe in custodia l'oratorio. Iniziava in seguito il lento abbandono e il crescente degrado che si protrarrà per circa un secolo.

Nel secondo dopoguerra il romitorio era in completa balia di chiunque. Fino agli anni 1970 i vandali si divertirono a sfasciare gli interni e le imposte, e coprire di scritte e graffiti i muri. Il recupero cominciò nel 1979, voluto dal nobile danese Viggo Dimitri de Wichfeld, curato da Paolo Ferruzzi e realizzato da Franco Segnini. Il restauro si concluse nel 1993, e al ricordo fu posta una lapide sul muro esterno della chiesa.

Curiosità: Romitorio di San Cerbone

Poiché questo luogo di culto deve tutto al santo patrono della diocesi di Massa e Populonia, è doveroso spendere qualche parola su Cerbone.

Nato intorno al 493 in Africa, fuggì dalla sua terra intorno al 534, in seguito alla lotta tra vandali e bizantini. Raggiunse le coste toscane e si fermò a Populonia, dove si mise al servizio del vescovo Carbinto, che guidò la diocesi dal 535 al 554. Non divenne vescovo alla morte di questi, come molti ritengono, perché dal 554 al 573 la carica fu retta da san Florenzio.

Il soglio vescovile gli fu invece affidato nel 573, ma lo conservò pochissimo a Populonia. Infatti i longobardi guidati da Alboino erano scesi in Toscana, e già nel 570 Gummarith dava dimostrazione della propria empietà nella stessa Populonia. Cerbone, ormai vecchio, cercò scampo col seguito all'Elba, evidentemente meno battuta dalle orde barbariche. I boschi del monte Capanne offrivano poi un luogo sicuro dove esercitare la propria spiritualità. Visse per due anni da eremita, attingendo il vivere quotidiano alla natura, e avendo come tetto uno spoglio abituro tra le rocce.

La grotta dove alloggiava san Cerbone durante il suo eremitaggio è poco distante. Si trova sui fianchi dell'affluente più orientale del fosso di Pedalta.

Si raggiunge tramite un sentiero di raccordo tra i percorsi segnati come 1 e 6. In realtà non c'è molto di interessante da vedere, in quanto più che una grotta si tratta di una cavità tra le coti.

Giunto vicino al momento della morte si ricordò di una promessa fattasi anni prima: avere sepoltura a Populonia. Ma essendo questa terra ridotta a covo dei barbari, gli fecero notare i suoi fedeli, il desiderio era destinato a rimanere un sogno. Cerbone li tranquillizzò ed esortò a dargli sepoltura dove voleva qualunque cosa succedesse.

Il giorno della morte il suo seguito caricò la salma su una barca. Durante la traversata si scatenò una procella, ma miracolosamente non arrecò alcun danno all'imbarcazione, facendola arrivare a Baratti senza che fosse imbarcata una sola goccia d'acqua.

L'ultimo miracolo del santo si era compiuto , e fu tumulato senza alcun impedimento.

Foto: Romitorio di San Cerbone

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