Si trova all'interno di un'affascinante valle, su uno sperone roccioso incuneato tra due torrentelli. I fianchi delle colline sono aspri, rossicci per il diaspro che li forma, coperti da una rada macchia. Qua e là svettano cipressi e le monumentali fioriture delle agavi. Lo scenario naturale è senza dubbio molto caratteristico, tanto da essere celebrato da viaggiatori che in ogni secolo lo visitarono.
Vi si giunge tramite una deviazione segnalata dalla strada provinciale Porto Azzurro-Rio nell'Elba, appena fuori dal primo paese. Al termine del tratto asfaltato, si può lasciare l'auto e proseguire a piedi in un ambiente fresco e tranquillo. L'ultimo brevissimo tratto che sale al santuario va compiuto necessariamente a piedi.
La chiesa è quasi sempre chiusa, limitando così la visita all'interno a occasioni speciali, soprattutto l'8 settembre, il giorno della festa al santuario, che si protrae per circa una settimana.
Per quanto i fondatori lo avessero costruito a modello del santuario di Montserrat, vicino Barcellona, il nostro non gli somiglia minimamente.
Il santuario ha la forma di un rettangolo irregolare. Contiguo a esso, a creare un corpo unico c'è la sacrestia. Misura complessivamente 24 metri di lunghezza e 6,8 di larghezza. Davanti l'ingresso si trova un piccolo patio da cui si gode una bella visuale sulla vallata sottostante. Sopra il corpo centrale della chiesa svetta la cupola classicheggiante, sormontata da una lanterna. Il campanile è a vela.
La facciata è disadorna e mostra bene anche a uno sguardo poco attento le modifiche a cui è andata soggetta in progresso di tempo. Il portale è sovrastato da un timpano spezzato, e sopra di esso si apre un finestrone rettangolare.
L'interno è disadorno, senza pregi architettonici o affreschi, anche se questi ultimi un tempo dovevano essere presenti. Sull'altare di marmo si trova la grande attrazione dei fedeli. Si tratta del dipinto della Madonna Nera, copia di quello più celebre della Nuestra Senora Morena conservato nel santuario di Montserrat in Catalogna. Di autore ignoto, ha un modesto pregio pittorico. Raffigura Maria assisa in trono con il Bambino in grembo. La Vergine, vestita da ampi panneggi rossi e azzurri, tiene nella mano destra una sorta di vaso sferico da cui spunta una pianta di giglio fiorita.
Molto interessante, all'esterno, è l'acquedotto che in passato riforniva il santuario. Oggi purtroppo non è in buone condizioni, con alcuni tratti crollati. Un disagevole sentiero lo costeggia fino alla sorgente, in una fresca valle, attualmente all'asciutto.
A differenza di altri santuari elbani, il Monserrato ha un origine ben precisa. Fu infatti costruito nel 1606. Il suo fondatore è il primo governatore della piazza spagnola di Longone, don Josè Ponçe de Leon, un fedele al culto di Nuestra Senora Morena, che commissionò anche la copia del quadro. Il suo attaccamento alla chiesa fu talmente vivo, che al termine del servizio al forte redasse un lascito, il 7 maggio 1616, in cui ordinava che la custodia, i possedimenti (tra cui un mulino a Reale) e le rendite dell'oratorio fossero passate agli agostiniani di Piombino, con l'incarico di officiarvi quotidianamente messa.
I frati presero possesso di quanto spettava loro, con atto notarile del 4 ottobre 1617, e vi fondarono un piccolo convento di appena quattro o cinque membri. Esso fu costruito ai piedi dello scalino di roccia su cui sorge la chiesa, nell'attuale villa Romagnoli, con il suo incantevole orto-giardino. Nel 1654 però una disposizione ponticia soppresse i monasteri minori, e così cessò la loro permanenza al Monserrato.
Il vescovo e il governatore della piazza di Piombino riaprirono il testamento e disposero le nuove consegne per la gestione dei beni del santuario. Fu nominato un cappellano che celebrasse la messa quotidiana, un tesoriere (scelto fra gli ufficiali della guarnigione di Longone) per l’amministrazione dei lasciti e due romiti per la custodia dell’edificio.
Nel corso del suo primo secolo di vita il patrimonio del santuario si arricchì considerevolmente: Averil McKenzie-Grieve dice: Il Monserrato era ben dotato; oltre alle volontà di de Pons c’erano copie di molti lasciti spagnoli nel Diciassettesimo secolo. I lasciti erano scritti in Italiano, e molti di essi iniziano con la dichiarazione che le volontà erano espresse “spontaneamente e non forzate”. Forse la Chiesa iniziava così per proteggere i monaci dalle accuse degli indignati, avidi parenti. Sono soprattutto lasciti di vigne, accuratamente misurate, con gli esatti confini. Molte delle pendici di Capoliveri dovevano essere state lasciate in eredità. Tra i donatori c'è un Mandriques […] Nel 1668 lasciò al santuario un vigneto e una casa a Mola, come fece anche un Rodrigues, mentre una certa donna Girolama di Capoliveri cedette la sua casa e le vigne a Nostra Signora. Molti dei lasciti servirono a pagare le Messe in perpetuo.
Nel 1708, nel corso dell'assedio del forte di Longone nel quadro della guerra di successione spagnola, un episodio di battaglia turbò la pace del santuario. Un gruppo di soldati imperiali fu respinto dagli spagnoli che avevano tentato una sortita dalla loro piazza. Imbottigliati all'interno della vallata del Monserrato, i tedeschi furono uccisi tutti.
Nel 1722 il governatore di Longone don Diego d'Alarcon chiese al re Filippo V di poter avere dei frati per l'assistenza spirituale della piazza. Il sovrano gli spedì i padri dell'Ambrosiana di Alcantara, che presero alloggio al Monserrato. Tra essi vi fu anche Giuseppe da Madrid, in seguito arcivescovo di Palermo.
Nel 1735 vi fu il primo tentativo di san Paolo della croce di fondare al santuario la sede del suo ordine, i passionisti. Ma rimediò un insuccesso. Altrettanta sfortuna ebbe cinque anni più tardi, sebbene fosse appoggiato da personaggi di peso.
Nel 1759, al passaggio di Longone dalla Spagna al nuovo regno di Napoli, fu istituita una commissione che facesse un rendiconto dei possedimenti della chiesa. Il risultato fu inquietante: si scoprì che l'ingente patrimonio accumulato negli anni (comprese le donazioni di don Josè) era stato dilapidato da sordidi affaristi, non solo illegittimamente, ma senza alcun atto scritto.
Nel 1768 fu costruita la parte retrostante della chiesa e rifatta la facciata. Nel settembre 1814 vi fu la visita di Napoleone alla chiesa. Le cronache raccontano di un dotto colloquio del corso con il romito.
Nel 1856 il direttore delle miniere dell'Elba Vincenzo Mellini, un discendente di quel don Josè che volle fondare la chiesa, fece aprire la strada carrozzabile, che nel 1938 fu ingrandita e sistemata per consentire l'accesso ai mezzi motorizzati.
Nel 1866 cessò la custodia dei romiti. Nel corso del secolo era preposto alla cura del santuario un solo romito, e in alcuni casi non vi risiedeva già più. Secondo McKenzie-Grieve chi si occupava della messa quotidiana prendeva, nel Settecento, uno stipendio di 188 ducati, e ne spendeva, sempre secondo l’autrice, un centinaio per le candele.
Vicino il santuario vi sono alcune attrattive su cui vale la pena soffermarsi. La prima lungo la strada comunale, impossibile non notarlo, è l'enorme pino domestico. Si tratta di uno dei monumenti vegetali dell'isola, di imponenti dimensioni e carico d'anni, la cui maestosa chioma ombreggia un'area attrezzata alla sosta. La solita leggenda vuole che sotto di esso vi sostasse Napoleone, cosa peraltro non improbabile data l'età.
Sull'altra riva del fosso si trova anche una ricca sorgente, la cui fresca acqua è apprezzata dai locali. Bello è anche lo scenario naturale che la circonda, ombreggiata com'è da bei castagni. Le leggende isolane su questa come altre abbondanti sorgenti, vogliono che siano alimentate da canali sotterranei che hanno origine addirittura in Corsica.
Affascinante è anche l'orto-giardino di villa Romagnoli, quasi ai piedi del santuario, dove in passato si trovava il romitorio. Non è visitabile in quanto proprietà privata, ma dalla strada che sale alla chiesa si può apprezzare qualche scorcio sui suoi freschi angoli.