Sorge su una collinetta in parte punteggiata da olivi, a una trentina di metri sul livello del mare, in località le Trane. Davanti a essa si stende la piana di Magazzini, che si affaccia sulla rada di Portoferraio. Alle sue spalle fa da corona il sistema collinare culminante in Cima del Monte e monte Castello.
Si raggiunge tramite una deviazione dalla provinciale di Bagnaia. Per un buon tratto la strada è pianeggiante e passa tra coltivi e vigne. L'ultimo tratto è in breve salita, fino al parcheggio antistante il luogo sacro, una bella terrazza panoramica su Portoferraio..
L'edificio è a navata unica, conclusa da un'abside semicircolare. Ha la forma di un rettangolo irregolare: la larghezza della facciata è più ampia di quella del lato posteriore, cosicché le mura laterali vanno leggermente a convergere verso l'abside. L'interno è illuminato da quattro piccole monofore a doppia strombatura. Oltre all'ingresso principale si accede all'interno da due porticine laterali, una per lato.
La struttura muraria è principalmente in filaretti orizzontali di calcare alberese in uguale altezza, spesso intervallati da piccoli conci, posti sia in orizzontale che verticale, e da corsi e zeppe tabulari. Questa disomogeneità è dovuta a rifacimenti, così come un'altra particolarità: sebbene tutte le bozze siano in alberese estratto da cave locali, il colore di esse varia dal bianco avorio al giallo lucente, seguendo tutte le tonalità intermedie, segno che molte pietre vengono da altri edifici o sono state preparate e sbozzate in periodi diversi.
La facciata di Santo Stefano è la più interessante delle romaniche isolane. è formata da tre arcate cieche, separate da lesene, a sua volta sormontate da lesene trabeate, che circoscrivono tre spazi rettangolari disadorni. Nella parte superiore si trova la caratteristica finestrella a croce greca, uguale a quella che si trova nella parete opposta, sopra l'abside. è probabile che la facciata sia stata concepita sul modello del rivestimento dei fianchi del duomo di Pisa. Sul lato destro di essa è evidente un cedimento mal compensato.
Le unicità di Santo Stefano al cospetto delle altre pievi sono le decorazioni architettoniche. Sono tutte in marmo bianco tranne una in arenaria. Le più belle sono le due mensole su cui poggia l'archivolto della porta laterale sud. La decorazione di destra rappresenta una figura zoomorfa a quattro zampe e dalla lunga coda, presa di profilo mentre sembra avventarsi su qualcosa, eruttando forse del fuoco dalla larga bocca. La decorazione di sinistra (l'unica in arenaria) mostra due rosette di forma diversa ai lati di una foglia lanceolata. Anche le mensolette della monofora di destra del muro meridionale sono decorate da foglie lanceolate. Altre cornici marmoree decorate a rosette e foglie lanceolate sono presenti a coronamento dei muri su entrambi gli angoli est della chiesa e uno anche su quello nord-ovest. è quindi quasi certo che originariamente circondassero tutto l'edificio. Infine vi sono due mensole marmoree interne su cui poggia l'arco della calotta absidale. Quella di sinistra, molto bella ma pesantemente danneggiata, mostra un'aquila decapitata ad ali spiegate tra due foglie lanceolate, mentre a destra i motivi sono costituiti da dentelli e ovoli in stile classicheggiante.
Anche l'abside si presenta come una delle più belle tra le romaniche isolane. è in forma di un perfetto semicerchio, e le fanno corona arcatelle pensili. Queste sono decorate da mensole che fanno da imposta agli archi, scolpite a motivi che alternano modanature con teste umane e animali.
L'interno è spoglio di elementi decorativi e molto semplice. Il tetto è stato ricostruito nel restauro degli anni 1970, mantenendo le caratteristiche costruttive originarie, ovvero di un soffitto a capriate lignee. A protezione vi fu posto sopra un parafulmine: accorgimento non casuale, perché come vedremo sarà proprio un fulmine a segnare negativamente la storia della cappella..
L'edificio è stato costruito nel XII secolo: è quindi coevo alle altre romaniche isolane. Il nostro però risente di uno stile legato alla costruzione del duomo di Pisa, come è ben evidenziato nella facciata. In base a questo si può affermare che la sua fondazione è leggermente più tarda rispetto alle vicine, ovvero alla seconda metà del secolo, considerando che la facciata dell'importante luogo di culto della città marinara è conclusa nel 1170.
La prima fonte scritta che ci parla del tempio è la Rationem decimarum Italiae-Tuscia, del 1298. In essa viene citato come ecclesia de Latrano in Ilva, e viene annotato che la decima pagata alla camera apostolica da esso era di 2,1 libbre: è il tributo più basso tra quelli delle altre chiese isolane.
Se dobbiamo prestare fede allo storico elbano Giuseppe Ninci l'evento più traumatico per l'edificio è la distruzione dovuta a una scorreria piratesca del 1442. In seguito a esso fu necessario un restauro, e forse proprio in quegli anni che si utilizzarono nuovi materiali costruttivi, alcuni provenienti magari dai ruderi della distrutta Latrani, e che formano quel puzzle di colori che rende mirabile la struttura. è certo che, tornata a nuova vita, dovette vedersela con le ben più terribili scorrerie barbaresche della metà del Cinquecento. Secondo la tradizione fu l'invasione di Barbarossa del 1544 quella fatale a Santo Stefano. Ma non fu la fine come per altre.
Dopo un breve parentesi in cui l'Elba era stata tolta agli Appiani e affidata a Cosimo de' Medici, nel 1557 la sola Portoferraio fu lasciata ai toscani, mentre il resto dell'isola tornava sotto il principato di Piombino. Al ducato furono lasciati anche i dintorni della piazzaforte medicea, nel raggio di due miglia, e quindi anche la nostra chiesa. Nel 1567, il parroco di Rio, privato della giurisdizione sul tempio ma evidentemente ancora attaccato a esso, in una lettera al duca Medici chiedeva di poter restaurare il bello edifizietto di chiesa, e che per tale opera sarebbe occorsa una modesta somma.
Il restauro fu presumibilmente effettuato e altri ne seguirono a opera dei fedeli, come racconta Ninci. Nel 1747 però un fulmine colpì il tetto, danneggiandolo gravemente. A seguito di questo Santo Stefano fu abbandonata, e i paramenti trasferiti nella chiesa della Misericordia, a Portoferraio.
Forse non fu un abbandono completo, poiché Ninci aggiunge che il luogo era frequentato fino alla fine del Settecento. In ogni caso non si spiega perché poi seguisse il disinteresse dei devoti; certo è che da allora per l'edificio sacro iniziarono gli anni della rovina e l'incuria. Sembrava che anche per questa chiesa il destino fosse comune a quello delle altre romaniche isolane, lasciate alla loro penosa decadenza.
Nella prima metà dell'Ottocento la cappella faceva parte della proprietà dei Senno, i più cospicui possidenti di Magazzini, padroni anche della tenuta della Chiusa. Quando i Senno andarono in fallimento, la Chiusa e Santo Stefano passarono ai Foresi, nel 1866, per 57mila lire. L'influente famiglia portoferraiese tenne il nostro monumento per circa un secolo. Infatti nel 1960 Ulisse Foresi lo donò alla diocesi di Massa e Populonia.
Si arriva così ai giorni nostri. Fino agli inizi degli anni 1970 la chiesa era totalmente abbandonata. All'interno vi regnava una fitta vegetazione, la copertura era ormai crollata e le strutture murarie si andavano sgretolando, tanto che la cuspide della facciata era per quasi la metà demolita. Fu così che per evitare l'irreparabile i fedeli intrapresero un'opera di restauro finalizzato non solo alla conservazione dell'edificio, ma anche alla riapertura al culto. Furono quindi riparati i danni alle mura, ricostruito il tetto e riaperte le monofore e le porte laterali, che in passato erano state murate..
Santo Stefano è l'unica chiesa romanica riaperta al culto, che ancora mantiene le sue forme originarie. All'Elba infatti la sorte dei luoghi sacri medievali ha preso due strade: o sono stati ristrutturati nel corso dei secoli, perdendo completamente le loro antiche linee per seguire lo stile più consono ai tempi dei restyling (soprattutto il barocco); o sono stati lasciati in abbandono, e oggi si notano in luoghi impervi, tra una folta vegetazione, senza tetto ed esposti a ogni intemperia.
È il caso di San Lorenzo di Marciana e San Giovanni in Campo, in parte anche di San Michele di Capoliveri. Queste chiese, insieme a quella oggi distrutta di Santi Giovanni e Silvestro di Ferraia (l'attuale Portoferraio), erano le più importanti dell'isola, vantando il titolo di plebanie o pievi. Esse godevano di una serie di privilegi, come il fonte battesimale. Gli altri luoghi di culto medievali erano tutti suffraganei, ovvero dipendenti, delle quattro plebanie suddette. Quindi anche Santo Stefano rientra in essi, nonostante l'importanza di essa, riflessa nella bellezza architettonica. Molto probabilmente la sua pieve di riferimento era quella ferraiese. Ironia della storia, dunque: la minore ha superato indenne i secoli, a dispetto delle più importanti.