Si trova sui selvaggi fianchi del monte Lentisco, su uno scalino di roccia, a 112 metri di altezza a dominare il paese di Cavo. Da lontano la sommità spicca come un faro dal manto verde della vegetazione.
Lo scenario è veramente bellissimo, rigoglioso di una vegetazione tipicamente mediterranea. La macchia è a foresta, dominata dalla presenza di alberi, su tutti il leccio, ma anche una discreta rappresentanza di pini domestici, d'Aleppo, e non mancano alcuni pini neri marsicani, abbastanza rari all'Elba. Bei monumenti vegetali delle resinose ombreggiano la piazzola di sosta prospiciente il mausoleo. Tra gli arbusti spicca tutto il campionario della macchia: ovviamente il lentisco che d il nome alla località , i maestosi ginepri, l'elegante mirto, le odorose ginestre spinosa e dei carbonai, e poi fillirea, corbezzolo, eriche arborea e scoparia. Tanto fitta e inestricabile è la vegetazione che sembra inghiottire il mausoleo.
Vi si giunge facilmente da Cavo, in circa mezz'ora, seguendo una larga strada dal fondo cattivo ma in leggera salita, sotto una lussureggiante coperta di lecci e pini. Per quanto non segnalato da cartelli indicatori, basti tener presente che questo tratto è uno degli estremi del GTE.
La visita è libera, ma occorre aver un po' di rispetto per la struttura, gi abbondantemente devastata da graffiti e scritte
Ingiustamente considerato un monumento minore, pur se non di eccelsa importanza storica, è comunque l'unica testimonianza in stile liberty dell'Elba.
Il mausoleo è slanciato in verticalità , quasi a suggerire al visitatore la struttura di un faro. E' stato costruito con diversi materiali, in gran parte elbani, ma alcuni importati dal continente, come il marmo bianco e la pietra serena. Con questi ultimi sono stati realizzati i motivi decorativi. In complesso si ha un accostamento cromatico gradevole: il biancore delle decorazioni risalta sul rossastro del bugnato di pietre irregolarmente squadrate.
E' solo dall'esterno che si apprezzano le decorazioni dell'edificio, come detto uno stile liberty esasperato, con caratteri decadenti di gusto dannunziano. Sopra l'ingresso, oltre alla scritta Famiglia Tonietti, una civetta (da alcuni interpretata come aquila) apre le ali per spiccare il volo. Una vecchia foto mostra che ancora più in alto campeggiava una croce, presumibilmente in marmo, forse asportata in seguito. Ai lati dell'ingresso vi sono tre semicolonne sormontate da teste leonine, a guardia della porta. Alle cantonate del primo piano vi sono grandi protome antropomorfe, e sui due prospetti laterali le prue rostrate di due navi in pietra sembrano staccarsi dal mausoleo, mentre, sopra di esse, ricorre il tema delle civette ad ali aperte. Culminante la struttura è una coppa, quasi a ricalcare la forma di un'antica lanterna di un faro, sopra la biancheggiante cupola.
La cappella è a due piani. Al piano terra si accede tramite un ampio ingresso, sormontato da un arco a tutto sesto, intervallato da cerchi in bassorilievo. L'ambiente è gravemente compromesso: il pavimento è divelto, lasciando scoperchiate le quattro fosse per le sepolture, mentre le pareti sono senza intonaco e piene di scritte vandaliche.
Si accede a quello superiore tramite una scala a chiocciola breve e angusta, incassata nelle murature. Il primo piano più piccolo del sottostante e, conformemente all'impressione che se ne ricava dall'esterno, pare di trovarci in una torretta di avvistamento. Dalle quattro aperture circolari, una per lato, si ha un bel colpo d'occhio sul panorama. Per accedere al terrazzo superiore si utilizzava un'ardita scala a chiocciola in ferro battuto, di bella fattura, ormai arrugginita e pericolante.
Altra struttura che ha subito i danni maggiori è il basamento quadrilatero su cui poggia la struttura. Vi si accede da una scalinata breve, fiancheggiata da blocchi di marmo bianco, ridotta in pessimo stato. Peggio ancora è andata alla balaustrata, oggi completamente distrutta e dei cui fregi architettonici all'ingresso, due leoni alati, oggi rimangono solo vecchie foto a testimonianza. Le colonnine d'angolo sono invece ancora in loco, ma divelte e gettate nella macchia.
Il mausoleo è stato iniziato nel 1904 e terminato due anni dopo. Il progettista è Adolfo Coppedé (1871-1951), fratello del più celebre Gino, quello del quartiere omonimo a Roma. Nel realizzare il monumento funebre Adolfo fece valere la sua esperienza oltre che di architetto, di decoratore. Scrivono Bossaglia e Cozzi, nel loro I Coppedé: [Il mausoleo Tonietti] chiarifica una volta di più il rapporto coppedeiano tra scultura in legno e architettura; la pratica dell'intaglio è infatti determinante nella capacità di legare e far coesistere motivi eterogenei.
La costruzione fu voluta da Ugo Ubaldo Tonietti, un tycoon elbano dell'epoca. Figlio di Giuseppe, che nel 1888 aveva ricevuto l'appalto per la gestione delle miniere isolane, gli era subentrato alla sua morte (1894), per altri tre anni. La direzione della società era affidata a un altro elbano, Pilade del Buono, discusso ed eclettico personaggio di quegli anni. Fu proprio per tramite di del Buono se avvenne l'incontro tra Coppedé e Tonietti.
La coppia Tonietti-del Buono puntava molto in alto: oltre che gestire il minerale isolano, mirava alla costruzione di un'industria siderurgica all'Elba. Aggiudicatosi anche l'appalto del 1897, Tonietti fondò insieme al socio, il 29 luglio 1899 a Genova, l'Elba società anonima di miniere e altiforni, che di l a un anno (20 ottobre 1900) sancir la fondazione dello stabilimento di Portoferraio. La famiglia Tonietti raggiungeva il suo momento di apoteosi.
E' in questo quadro che Ugo Ubaldo volle far costruire un luogo di sepoltura privato. Ma non una semplice cappella cimiteriale, bensì un vero e proprio mausoleo. Scelse l'affascinante quinta di Cavo, luogo dove anche viveva in un lussuoso palazzo.
Il mausoleo per non sarà mai destinato a tomba di famiglia, in quanto non gli verrà assegnata la concessione cimiteriale. Rimarrà solo una testimonianza del fulgore della casata. Lasciato senza custodia cadde quasi subito nel degrado dell'abbandono. In questi anni spesso si sono alzate voci per chiederne il restauro, che diventa anno dopo anno sempre più impellente.
All'Elba Adolfo Coppedé non lavorò solo al mausoleo Tonietti, che pure rimane la sua opera più famosa. Il talento del giovane architetto fu scoperto proprio da Pilade del Buono in seguito al concorso per il pensionato artistico di Roma del 1898. Tre anni più tardi il suo mentore gli affidò la realizzazione della cappella di famiglia al cimitero della Misericordia di Portoferraio. Tra il 1902 e il 1904 è la volta della villa padronale di San Martino (l'attuale hotel Napoleone, a poca distanza dalla villa napoleonica), sempre su commissione di del Buono. Nel 1904, oltre al mausoleo di Cavo, lo troviamo impegnato nell'elevazione del cosiddetto palazzo dei merli, che si affacciava sulla darsena di Portoferraio, e fu distrutto nei bombardamenti della seconda guerra mondiale; e del palazzo degli uffici amministrativi degli altiforni, oggi detto appunto palazzo Coppedé è in corso di restauro.