La città sommersa
Scherzi della Natura
Nella secca di Capo Bianco...
di Marcello Camici
Negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso si parlò della presenza di una città sommersa a largo di Capo Bianco all’isola d’Elba. La zona è conosciuta come secca di Capo Bianco.
Si parlò anche di un mitico Porto Argo di greca memoria proprio davanti alla spiaggia delle Ghiaie.
La zona è tutta bianca, di una bellezza unica.
Taluni hanno voluto riconoscere questo luogo come quello dove Strabone afferma essere approdato Giasone con la nave Argo che conduceva gli Argonauti e che andava in cerca dell’isola di Circe volendo vedere l’incantatrice Medea. In greco poi, Argo significa bianco.
Ho letto la relazione pubblicata dall’archeologo subacqueo Alessandro Pederzini sull’esplorazione subacquea che fece nel 1958 presente l’archeologo prof. Giorgio Monaco nella secca di Capo Bianco.
Prospezione di resti di antiche costruzioni sommerse al largo della località Ghiaie di Portoferraio.
Il 17 agosto si procedette a esplorare la zona subacquea al largo delle Ghiaie(Secca di Capo Bianco) dove Vittorio Bonetti, su indicazione di pescatori,già due anni orsono aveva avvistato resti di una città sommersa. Presenti il prof. Giorgio Monaco e i signori Del Bruno e Farina dell’Ente valorizzazione Elba, scesi in acqua, munito di apparecchio fotografico, insieme a Renzo Ferrandi, in un punto a circa 50 metri dal palo di cemento indicante la secca. Ci dirigemmo in direzione nord-est. La visibilità era ottima. Il fondale sui m 12, è ricco di poseidonie con piccoli spiazzi di sabbia e scogli isolati, fittamente coperti di bassa vegetazione.Sulla sabbia o fra le poseidonie, specie vicino ai piccoli scogli, sono visibili frammenti di anfore(un collo con manici fu ricoverato alla fine dell’immersione).
Proseguendo verso est il fondo diviene uniforme con poseidonie e sabbia: spintici in questa zona per diverse centinaia di metri senza trovare tracce interessanti, decidemmo il ritorno. Vicino al punto di discesa ritrovammo gli scogli circondati da vegetazione.
Raschiai con il coltello uno di questi massi, e fu così scoperto che non si trattava di scogli, bensì di muri formati con pietre irregolari, ma ben connesse, con le linee di congiunzione fra pietra e pietra bene evidenti.Questi bassi tronconi di muro risultarono sparsi in un a ampia zona senza alcun apparente elemento di concatenazione.
Volgendo verso ovest vedemmo innalzarsi grandi masse isolate, disposte in maniera strana. Il fondo intanto si alzava e apparve quindi un grande complesso che ci parve essere in parte naturale e in parte opera umana. Al di là di questo grande complesso il fondo si abbassava, e ricomparvero imponenti muraglioni, talora abbinati parallelamente a non molti metri di distanza l’uno dall’altro. La loro altezza è anche di 8 metri ed è possibile vedere alla base pietre franate dall’alto.
Ritornando alla parte centrale, cioè quello che ho definito grande complesso, scoprimmo una specie di sottopassaggio in gran parte caduto, ma per tre metri ancora stabilmente a posto. Più che un arco potremmo definire un architrave (costruito oltre che con pietre, con una sorte di calcestruzzo) (vedi foto), sovrastante una specie di camminamento lungo una cinquantina di metri(è il più lungo) che corre fra due muraglioni in parte diroccati. Vicino all’arco.posta diagonalmente alla parete esterna, Ferrandi notò una sbarra metallica piatta.
Forzando un poco essa venne recuperata, e nel toglierla ci accorgemmo che non era solamente incrostata al muro, ma che vi era imprigionata.. Il metallo presenta una spessa ossidazione nera, ed è da escludere che sia piombo(per le ossidazioni e le incrostazioni). Eseguite diverse fotografie ebbe termine l’immersione, che era durata un’ora e venti.
Il 19 agosto venne eseguita una seconda ricognizione con la partecipazione delle medesime persone e Virgilio Cella, che eseguì riprese cinematografiche subacquee.
L’immersione fu dedicata alla prospezione del grande complesso. Risultò evidente che questo, nella parte centrale, è almeno parzialmente costituito da grossi scogli granitici chiari; nelle parti esterne invece si ha l’impressione che vi siano ciclopiche mura di pietre. Le mura presentano una vegetazione molto più fitta delle rocce naturali. Venne infine scoperta una grande galleria, che si diparte da una specie di pozzo e termina all’esterno del complesso.Sotto questa grande galleria o arco raccogliemmo un frammento di un vaso in ceramica(orlo superiore con motivo ornamentale) e in vicinanza del pozzo un pezzo metallico probabilmente di bronzo, che potrebbe essere il bordo di un vaso o di un elmo. Un metro quadro circa di muro del grande camminamento fu raschiato per consentire di fotografare le congiunzioni delle pietre. L’immersione ebbe termine dopo oltre un’ora.
In generale si può concludere che ci troviamo dinanzi a opere imponenti, che nella parte centrale sono state costruite sfruttando ciò che esisteva naturalmente.
L’ipotesi di una fortificazione potrebbe essere la più attendibile. L’archeologo prof. Michelangelo Zecchini che ammiro perché ha eseguito mirabili studi e ricerche sul territorio elbano pubblicando testi fondamentali per la conoscenza del tempo preistorico e della storia antica elbana, afferma:
….Nel 1959, lo stesso anno in cui il prof. Lamboglia scopriva a Baia mura, colonne, gradinate, strade e una infinità di vasellame frammentario, all’Elba si usciva con la notizia bomba:città sommersa nel mare di Portoferraio ! Era successo che alcuni subacquei, alla ricerca del mitico Porto Argo, avevano creduto di individuare enormi muraglie e larghe strade appena a largo di Capo Bianco, poco più a occidente della spiaggia delle Ghiaie. E in effetti muraglie e strade c’erano, come ebbero modo di vedere e di scrivere giornalisti e studiosi. Solo che-cosa alla quale nessuno lì per lì dette importanza- quelle strutture edilizie erano opera della natura e non dell’uomo.
Vero è che le burle della natura sono le più difficili a smascherarsi, ma altri falsi avrebbero dovuto mettere sull’avviso…Dunque niente città inabissata, niente misterioso sprofondamento tettonico; e, soprattutto, niente tesori da scoprire, coma ha già sperimentato chi si è calato sul fondo senza riportare in superfice neanche un coccetto di consolazione… (L’archeologia nell’arcipelago toscano, pgg.148-151)
Note:
Se uno studioso come il prof. Zecchini scrive questo avrà certamente eseguito ricerche sulla zona o saprà di altri che lo hanno fatto.
A me, che non sono archeologo, la relazione del Pederzini ha lasciato un dubbio: che sia davvero tutto uno scherzo della natura ?
La zona non meriterebbe un’indagine con i moderni strumenti di archeologia subacquea più sofisticati di quelli di cinquanta anni orsono?