Demo il Campesino era l'uomo più forte del Paese. Faceva il fabbro nella Fortezza. Quando i pirati di Dragut provarono ad attaccarla, Demo si precipitò fuori e inseguì i turchi , terrorizzati dall'aspetto imponente del fabbro. Era un uomo alto due metri e dentro l'armatura sembrava ancora più alto. I pirati si dettero a precipitosa fuga tra le rocce di Facciatoia disperdendosi poi nella piana degli Alzi.
La leggenda narra che Demo sollevasse il sasso di leva con una mano e che passeggiasse per il Paese con due barili pieni d'acqua fino al colmo, tenuti su solo dalla forza dei due indici. Era anche un uomo buono ,onesto e stimato. Tutti cercavano i suoi servigi, sicuri di non ricevere fregature. La sua specialità erano le spade. Ne forgiava di tutti i tipi e per tutte le misure.
Ne aveva appena assemblate un paio, di metallo lucente e con il fornimento argentato, a forma di croce. Erano per Piero e Ilario, i due figli gemelli che 18 anni prima aveva avuto da Ilva, la pia donna che lo aveva sposato un quarto di secolo prima.
Piero e Ilario non andavano d'accordo. Iniziarono a litigare nella culla e nonostante gli sforzi di Demo e Ilva non ci fu mai verso di farli vivere in armonia. Litigi e dispetti erano all'ordine del giorno. Erano diversi in tutto. Ilario era la ragione, seguiva un filo logico, condivisibile da tutti, ma non cambiava mai idea, nemmeno davanti all'evidenza di un torto. Piero era la passione, seguiva il proprio istinto come un segugio insegue la preda, andava dritto per la propria strada e se la strada terminava in un baratro, vi precipitava dentro con baracca e burattini. Completamente diversi, ma ugualmente testardi.
Appena compirono 18 anni, lasciarono la Fortezza e andarono a vivere ai due lati opposti del Paese. Ognuno voleva dimostrare all'altro la propria supremazia. Ilario andò ad abitare in una casupola nei pressi della Porta d'Oriente. Tutti i giorni andava a lavorare nella sua cava di granito, sotto la chiesa di San Giovanni.
Nessuno aveva la sua abilità nel costruire le arcate delle porte dei palazzi signorili e i fonti battesimali. I suoi manufatti non avevano termine di paragone. Piero si accasò nei pressi della Porta d'Occidente, a pochi passi dal vecchio cimitero di San Rocco. Da lì montava a cavallo e in pochi minuti raggiungeva il Fosso di Moncione, dove pascolavano le sue pecore. Erano suoi le ricotte e i formaggi più saporiti di tutto il territorio Marcianese.
Quella sera novembrina il tempo non prometteva niente di buono. Montecristo era già circondato dalle nuvole e un freddo vento di tramontana sibilava tra i viottoli di granito. Il Paese era in festa. I Santi dovevano essere festeggiati come Dio comanda. Nella Fortezza vibravano le luci di mille candele e s'innalzavano i cori e i canti provenienti dalla vecchia chiesa romanica del Vicinato Lungo. Le donne avevano preparato corolli e frangette. Gli uomini, dopo mesi di duro lavoro, si concedevano ai giochi di carte e di vino nella Bottega del Campanile. Piero e Ilario non sentirono i preamboli della tempesta che si avvicinava. Seduti uno di fronte all'altro, ad un tavolo al centro della bettola, si stavano fronteggiando a chi beveva più bicchieri di vino nero. Intorno a loro, tra gli schiamazzi degli avventori, si accettavano scommesse. Vinceva chi rimaneva in piedi.
Un bicchiere io, un bicchiere tu.
Andavano avanti così da un paio d'ore, gli occhi dell'uno fissati negli occhi dell'altro.
Due bicchieri io, un bicchiere tu.
La voce del gemello zittì gli avventori avvinazzati.
La risposta dell'altro fu un cazzotto in pieno volto che fece vacillare l'incauto fratello. Fu l'inizio di una rissa colossale; iniziarono a scambiarsi puntate e a spingersi verso l'uscita. Nella più totale confusione, finirono fuori dalla Bottega. Pioveva acqua a sassate e nel cielo nero della notte, i tuoni scuotevano il Paese e i lampi lo illuminavano a giorno. Qualcuno andò ad avvisare Demo.
Corri, i tuoi figli si stanno picchiando .
Demo non perse tempo. Si infilò il mantello e prese le due spade nuove di zecca, sperando con quelle di calmare l'ira funesta dei due ragazzi. Come una furia attraversò il Paese. Intanto i due gemelli, tra un cazzotto, un insulto e una spinta erano finiti vicino al Grande Sasso che faceva da guardia all'Arco del Borgo, il quartiere più vecchio del Paese. Erano bagnati fino al midollo e la pioggia gli lavava il sangue che colava dagli angoli delle bocche. Fu lì che li trovò Demo, il gigante in pena.
Figli miei...
La voce potente sovrastò i rumori della tempesta , ma l'uomo non riuscì a terminare la frase. Un rombo potente attraversò la notte, seguito da un lampo gigantesco e da una scarica elettrica che colpì in pieno Demo e le spade che inutilmente brandiva. Con uno schianto simile a quello di un vecchio albero che si scoscia, il fulmine squarciò la roccia che si divise in due, come un panetto di burro tagliato da un coltello affilato. Una spada si frantumò, l'altra, con tutto il peso dell'uomo sopra, si infilò nella fenditura dello scoglio e li rimase. Demo rimase ricurvo sulla spada piantata nel Sasso.
Sembrava un burattino disarticolato. Le braccia erano calate lungo il corpo, le gambe piegate e il busto ricurvo sulla croce argentata. Dalle vesti e dei capelli fuoriusciva un sulfureo fumo azzurrino. Fulminato. Il cielo si aprì e tra le nubi, un paio di stelle salutarono la notte.
Piero e Ilario, chi per le gambe, chi per le braccia, sollevarono il padre e lo portarono nella cappella di San Rocco. Inutile cercare il cerusico. Fu l'ultima volta che Ilario e Piero litigarono e dal quel giorno, il Paese e i borghi vicini, si avvalsero delle loro capacità. Negli anni a venire, in tanti hanno provato ad estrarre la spada di Demo dal Sasso, ma l'impresa è sempre risultata vana. Bisogna accontentarsi di leggere la scritta sull'elsa argentata: “ PIERO FIGLIO DI DEMO”.
di Gian Mario Gentini
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