La Vittoria alata di Marina di Campo: un secolo di storia

Al centro di Piazza della Vittoria a Marina di Campo, svetta maestosa la statua bronzea della Vittoria alata, eretta nel 1924 per commemorare i caduti della Prima Guerra Mondiale. Il monumento si compone di un basamento in granito, su cui sono apposte lapidi bronzee con i nomi dei caduti.

La Vittoria alata è raffigurata nell'atto di camminare, con il braccio destro teso verso l'alto a reggere una corona d'alloro, simbolo di vittoria e trionfo. Il braccio sinistro è lungo il fianco e regge una palma, simbolo di pace e immortalità. La dea è vestita con una tunica che lascia scoperte le gambe e i piedi, e ha le ali spiegate alle sue spalle, come se fosse pronta a volare.

La statua è stata realizzata dallo scultore Sergio Vatteroni, nato a Massa Carrara nel 1890 e morto nella stessa città nel 1975. Vatteroni era un artista versatile, attivo come scultore, pittore e incisore. Ha partecipato a numerose Biennali di Venezia e ha esposto le sue opere in mostre personali in Italia e all'estero.

Nel corso del tempo, il monumento si è arricchito di una seconda targa in bronzo, con i nomi dei caduti della Seconda Guerra Mondiale.

Oltre al suo significato storico e commemorativo, la statua della Vittoria alata rappresenta anche un'opera d'arte di grande valore. La maestria con cui Vatteroni ha modellato il bronzo, la perfezione dei dettagli e la forza espressiva della figura rendono questo monumento un esempio significativo della scultura italiana del XX secolo.

Ogni anno, il 4 novembre, in occasione della Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate, si tiene una cerimonia di commemorazione ai piedi del monumento.

La Vittoria alata è un invito a riflettere sul valore della pace e del sacrificio. Ci ricorda che la guerra è un'inutile tragedia che porta solo dolore e sofferenza ed è anche un invito ad agire per costruire un mondo migliore, basato sulla pace e sulla giustizia un monito contro la guerra e un invito a costruire un futuro di pace e di speranza.

di Gian Mario Gentini

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