Il 3 settembre 1815 l'Elba fu annessa alla Toscana, in forza di un decreto, ma in pratica era da almeno un mese sotto il controllo delle autorità granducali. Dopo il congresso di Vienna il granducato era stato riassegnato ai Lorena, ancora nella persona di Ferdinando III, che lo aveva giocoforza lasciato sotto l'occupazione francese. Pare che il sovrano non fosse molto felice del contegno degli elbani sotto la dominazione transalpina e ancor di più sotto quella napoleonica. Ma la maggior parte degli isolani (per Portoferraio era un ritorno all'antico ordine) non aveva niente da temere dal nuovo governo.
Nel giro di pochi anni l'assetto amministrativo elbano tornò a cambiare. L'apparato francese fu smantellato e introdotto quello toscano. Tuttavia anche le nuove autorità cercarono di applicarlo senza grossi traumi in progresso di tempo. La ridefinizione comunale fu per drastica: se sotto Napoleone l'isola visse un federalismo esasperato con l'elevazione a dieci comuni, sotto i toscani si pass a quattro (Portoferraio, Marciana, Portolongone e Rio) per economizzare sugli erari. Fu una mossa che accese i campanilismi anziché spegnerli e obiettivamente troppo affrettata per l'epoca. Il caso più eclatante è quello dell'accorpamento tra Portolongone e Capoliveri, due paesi culturalmente molto distanti fra loro e addirittura divisi in due stati differenti fino a una ventina d'anni prima.
Il nuovo governo si spese molto anche per l'economia isolana, così come avevano fatto i francesi. In questo caso il freno maggiore fu rappresentato dalla politica liberista del granducato, che per l'Elba, come per tutte le aree depresse economicamente, fu sfavorevole. Tuttavia il governo prese alcune misure per favorire l'export isolano. Si cercò di incoraggiare l'agricoltura con piani che potessero è dare l'autosufficienza all'isola, ma che rimasero realisticamente sulla carta. Solo la viticoltura sembrava spingere sull'acceleratore produttivo.
L'altra attività cardine e una delle più importanti per lo stato, l'estrazione di ferro, visse due fasi diverse. Inizialmente il granducato aveva imposto un motu proprio, nel maggio 1816, in pratica il monopolio di stato sulle miniere senza alcun diritto di privati, caso unico in Toscana. In compenso il governo concesse agli elbani franchigie doganali, l'esenzione dall'imposta fondiaria, i lavori portuali a spese dello stato e molto altro. Ma la svolta si ebbe nel 1851, quando venne creata la Regia Cointeressata, una società per azioni mista tra pubblico e privato: essa spinse la produzione al massimo. Innanzitutto l'estrazione fu estesa geograficamente: dalla metà del secolo non solo furono sfruttate le secolari miniere riesi, ma si inizi le escavazioni a Calamita e in parte al Ginevro (Capoliveri), e a Terranera (Porto Azzurro). Sempre alla metà del secolo furono introdotte anche importanti innovazioni con eccellenti risultati in termini di quantità e qualità dell'estrazione. ciò fu soprattutto sotto la direzione di un ingegnere tedesco, Teodoro Haupt, voluto dal granducato per modernizzare le miniere. Fu lui a volere la prima laveria a Rio Marina per separare il minerale dallo sterile, pontili di imbarco in tutte le cave e ferrovie a scartamento ridotto a trazione animale. Il ferro elbano era quasi tutto venduto all'estero, Francia e Inghilterra soprattutto, ma anche gli emergenti Stati Uniti. Anche sotto il governo italiano le scelte granducali verranno rispettate ma con un'unica eccezione: verranno tolti i privilegi del vecchio governo.
Anche l'Elba non rimase immune dallo spirito unitario che animava l'Italia. Gi nel 1848 si erano avuti diversi tumulti, e a Portoferraio era stato innalzato l'albero della libertà. Sempre in quell'anno alcuni elbani, come Cesare de Lauger ed Elbano Gasperi, si erano distinti nella battaglia di Curtatone e Montanara. La polizia granducale poi ebbe il suo bel daffare per tenere d'occhio sospetti di sovversione: fra tutti spicca il medico condotto di Capoliveri Vincenzo Silvio, che ebbe una vita e una carriera segnata dalle persecuzioni politiche. Inoltre il granducato utilizzò le isole dell'arcipelago come luoghi di prigionia di nemici dello stato, oltre che di delinquenti comuni. A questo proposito rimane celebre la detenzione di Francesco Domenico Guerrazzi nel forte Falcone a Portoferraio, nel 1848, dove compose la Predica del venerdì santo.
Gli ideali di unificazione non rimasero delusi nei propugnatori: quando nel 1860 il granducato consentì il referendum, all'Elba un plebiscito salutò l'Italia unita. Dei poco meno di seimila votanti, ben 4742 si espressero a favore.
Il nuovo stato per non corrispose agli entusiasmi isolani. Per la prima volta nella sua storia le autorità centrali applicarono senza sconti e benefici le loro direttive. A fronte del nuovo complesso apparato burocratico non si rispose, almeno nell'immediato, a innovazioni o infrastrutture moderne che portassero l'Elba alla pari con altre aree sviluppate. L'unica opera degna di nota è l'installazione del cavo telegrafico sottomarino tra l'isola e il continente. I collegamenti marittimi soprattutto furono la lacuna più evidente. Solo verso la fine del secolo le cose migliorarono decisamente, quando furono introdotti due piroscafi a vapore sulle linee Portoferraio-Piombino e Portoferraio-Livorno.
Una novità importante nei primi anni dell'unificazione fu la nascita delle società di mutuo soccorso. La prima fu a Portoferraio su iniziativa dell'avvocato Cesare Hutre, seguita da quella di Rio nell'Elba e quindi dagli altri paesi. Pur peccando di un eccessivo paternalismo borghese e mostrando una forte contrapposizione tra di loro, questi enti aprirono la strada nel campo dell'associazionismo e verso la prima costituzione di sindacati operai, soprattutto fra i cavatori dell'Elba orientale. è
La prima manifestazione di coesione di classe si ebbe agli inizi del 1882: i minatori scesero per la prima volta in piazza in forma spontanea quando appresero che nel nuovo capitolato d'appalto delle cave il nuovo concessionario, la Banca generale, intendeva ridurre maestranze e salari. Il fatto fu una scossa per la classe operaia italiana, tanto che ne fu dato risalto anche sulla stampa nazionale. Fu l'inizio di una stagione di lotte sociali. Altro motivo di scioperi fu l'impiego nelle cave di carcerati con grave danno alle assunzioni. In alcuni casi i toni raggiunsero livelli drammatici, come nel dicembre 1886 a Capoliveri, quando la forza pubblica aprì il fuoco sui dimostranti uccidendo due persone. La fine del secolo è costellata di scioperi, conclusisi con risultati alterni, e questo spinse i lavoratori a manifestare in maniera sempre più organizzata: iniziarono quindi a nascere le prime forme sindacali con le leghe operaie e sezioni socialiste nei borghi minerari.
Il campanilismo e le contrapposizioni tra paesi, covate da decenni, riesplosero verso la fine del secolo. I paesi rivieraschi, ormai realtà urbane di un certo spessore, mal sopportavano di essere gestiti dai loro fratelli collinari. Si ebbe così una serie di richieste di autonomia amministrativa. Rio Marina si staccò da Rio Alto (1882), il comune di Marciana fu sventrato con la separazione della sua Marina (1884) e di Campo nell'Elba (1894), e anche Capoliveri si volle togliere di dosso i governanti di Portolongone per riacquistare (1906) la sua millenaria autonomia persa poco meno di un secolo prima.
L'economia elbana nella seconda è parte del secolo ebbe luci e ombre. Un durissimo colpo arrivò a uno dei suoi settori trainanti a cavallo tra gli anni 1850 e 1860, quando le vigne furono decimate dall'oidio, una crittogama della vite. Molti contadini si ritrovarono sul lastrico, e la loro unica speranza fu l'emigrazione. La crisi fu superata nel giro di qualche anno, con il reimpianto delle vigne e l'introduzione delle insufflazioni di zolfo per debellare la malattia: negli anni 1870 la produzione tornò su livelli significativi, addirittura superiori al passato. Ma dovranno passare altri venti anni perché giunga anche all'Elba il flagello della fillossera, un insetto parassita della vite. Questa volta l'effetto fu più disastroso: l'emigrazione divenne più massiccia e si orientò anche verso altri continenti. Iniziano in questi anni i viaggi della speranza soprattutto verso l'Australia e il Sud America, che vedranno svilupparsi comunità di elbani sempre più consistenti. Con l'introduzione della vite americana la fillossera fu sconfitta e la viticoltura si riprese, ma i è risultati del passato non furono più raggiunti.
Settori che segnarono il passo verso la fine del secolo furono la cantieristica e la marineria. Arrivati su ottimi livelli (flotta mercantile per un tonnellaggio complessivo di 16 mila tonnellate, e Marciana Marina al secondo posto in Toscana dopo Livorno per produzione cantieristica) le attività avevano subito il contraccolpo dell'arrivo del vapore che aveva reso obsoleti i bastimenti a vela.
Tuttavia assistiamo a una società in continua evoluzione, in alcuni casi anche in piena vivacità culturale, che si prepara ad affrontare il convulso XX secolo.