Il visitatore che fosse giunto all'Elba 50.000 anni fa, l'avrebbe trovata decisamente diversa dall'attuale. Innanzitutto non doveva preoccuparsi di attraversare il braccio di mare oggi costituito dal canale di Piombino: l'Elba, insieme a Pianosa, era unita al continente, inglobata da una grossa penisola che si protendeva verso la Corsardinia. Siamo infatti nel corso della seconda fase della glaciazione di Wurm, e mentre il ghiaccio stringeva buona parte del nord Italia, il livello del mare si era abbassato di circa cento metri.
Anche la vegetazione e la fauna erano inusuali per la latitudine: le foreste annoveravano specie tipicamente alpine, e tra di esse si aggiravano anche orsi spelei, rinoceronti e ippopotami, che potevano tranquillamente giungere dalle nostre parti grazie al corridoio di terra. Con il cambio del clima nel postglaciale molte piante si sono ovviamente estinte, ma non tutte: alcune vivono ancora, come il tasso (Taxus baccata)[1] o l'Osmunda regalis, la più grande felce italiana. Anche i grossi mammiferi, nel momento del distacco definitivo dell'Elba dal continente, andarono a estinguersi: della loro presenza sono rimaste solo tracce ossee nella grotta di Reale[2], vicino Porto Azzurro.
Questa situazione geografica favorevole consentì all'uomo dell'epoca di insediarsi nell'Elba continentale: infatti i paleolitici non conoscevano bene la pratica della navigazione. Per questo molte isole attuali, anche vicine all'Elba, che conoscevano già all'epoca una separazione dal continente, saranno colonizzate solo qualche decina di millenni più tardi.
Attualmente è molto difficile tracciare un quadro su una possibile colonizzazione umana dell'Elba nel Paleolitico inferiore, considerando la probabile continentalità imposta dalla regressione del mare nel corso della terza fase della glaciazione di Riss (150-130 mila anni fa). I reperti trovati sono pochissimi (uno strumento amigdalare al fosso del Pino di Lacona, e un raschiatoio laterale alle Solane di Procchio) e di incerta datazione.
Nessun dubbio abbiamo invece sul Paleolitico medio, quando troviamo i primi sicuri stanziamenti umani all'Elba. Quasi sempre non si tratta di colonie stabili e durature: principalmente erano cacciatori che vi arrivavano seguendo la selvaggina, e quando questa scarseggiava abbandonavano i loro modesti abituri di frasche. A ciò va aggiunta una probabile fase insulare dell'Elba, tra i 40 e i 30 mila anni fa (interstadio di Gottweig), che precluse per un lungo periodo l'accesso di uomini e animali. Ritrovamenti di lame, punte e raschiatoi sono stati trovati soprattutto sulle pendici delle colline centrali dell'isola[3].
Gli orizzonti culturali che interessano il Paleolitico all'Elba vanno dal musteriano (55-38 mila anni fa), all'aurignaziano (intorno a 30 mila anni fa), al gravettiano evoluto (23-20 mila anni fa), fino all'epigravettiano (18-15 mila anni fa). ciò troviamo così di fronte a un primo periodo (tra i 50 e i 40 mila anni fa, Paleolitico medio) in cui l'Elba si trovò colonizzata dai neanderthaliani, e un secondo (dai 30 ai 15 mila anni fa, Paleolitico superiore) in cui fece la comparsa il nostro progenitore diretto(uomo di Cro Magnon); separati dalla fase insulare dell'interstadio di Gottweig. Con buone probabilità, dunque, le due specie non si sono mai incontrate (o scontrate) all'Elba.
Ma il clima andava cambiando. Il gelo stringeva sempre di meno la sua morsa, e grandi masse ghiacciate liberavano l'acqua nei mari. Il livello di essi andava così aumentando, tanto che 12.000 anni fa l'Elba terminò la sua fase continentale. Ovviamente la perdita di un corridoio terrestre corrispose alla fine delle migrazioni di selvaggina e la conseguente cessazione di ogni attività umana legata alla caccia. Molto probabilmente si aprì per l'Elba un lungo periodo in cui, come scrive Gin Racheli, tutto tacque nelle isole tranne le onde del mare e il canto degli uccelli.
L'uomo che mette piede sulla neonata isola è differente dai cacciatori paleolitici: la sua intelligenza padroneggia già in diversi campi. Innanzitutto pratica molto bene la navigazione, e inoltre non solo adatta e modella quello che la natura gli offre, ma crea dalle sue mani. Nasce così la ceramica e inizia il Neolitico. In realtà le tracce di questo periodo non sono abbondanti all'Elba, forse per una scarsa ricerca archeologica, ma testimoniano come per la prima volta l'isola conoscesse una frequentazione stabile, fondata molto più sull'agricoltura e la pastorizia che sulla caccia.
Mentre nella nostra penisola i popoli vivevano tranquillamente delle attività della terra, nel Vicino Oriente, la culla della civiltà, si sperimentavano nuove scienze: quella che dette una svolta alla storia fu la lavorazione del metallo. Sicuramente i protoelbani non si rendevano conto che molte delle pietre su cui lavoravano per strappare campi coltivati, magari maledicendole e stimandole nullità, erano quelle che a qualche migliaio di chilometri si dava un'importanza decisiva. Ma altrettanto sicuramente sarà grazie a esse se di l a poco l'Elba diventerà uno dei crocevia economici più importanti nel Mediterraneo.
Si inizi con il rame, che scatenò una caccia ai giacimenti. Entriamo così nell'Eneolitico. Per molto tempo si è ritenuto che la presenza di rame all'Elba fosse di modesta entità. Negli ultimi anni la percezione si è ribaltata. D'altra parte gli indicatori geologici lo dimostrano in pieno: il metallo è presente sia in forma nativa che in ossidi (cuprite), carbonati (malachite e azzurrite), solforati (calcopirite) e silicati (crisocolla). E anche le ricerche archeologiche mostrano una vivacità sull'isola mai dimostrata in precedenza. Testimonianze della cultura dominante nel periodo, quella di Rinaldone, sono presenti un po' in tutta l'isola, ma soprattutto a San Giuseppe[4], vicino Rio Marina. Qui è stato scoperto un sepolcreto in grotta con decine di inumati dai ricchi corredi funebri, costituiti soprattutto da ceramiche di grande varietà. Dall'analisi delle strutture ossee fu scoperto che la dieta e lo stress fisico di quella società antica non si discostava molto dai parametri della nostra vita opulenta. Una società ricca, dunque, fondata sull'escavazione del minerale, la metallurgia e il commercio, tanto per limitarci ai campi economici più redditizi.
Mentre nel secondo millennio a. C. si stava vivendo una seconda protorivoluzione industriale con la scoperta del bronzo, e nell'Italia centromeridionale si sviluppava la cultura appenninica, l'Elba sembrò vivere un lungo periodo d'oblio. Le testimonianze dell'età del Bronzo, almeno per quanto riguarda le fasi iniziali e medie, sono infatti scarsissime sull'isola: anche la ricca società riese è scomparsa. Forse la svolta epocale mise in crisi l'economia dell'isola, ma ciò non toglie, come rilevato da molti, che la ricerca archeologica riguardante questo periodo sia stata lacunosa. D'altra parte appare strano che le miniere isolane ricche di un elemento indispensabile come il rame per formare la nuova lega, abbondantemente sfruttate fino a pochi secoli prima, siano state improvvisamente snobbate.
In ogni caso occorre aspettare gli inizi del primo millennio a. C. per ritrovare un'Elba rifiorita economicamente e socialmente. L'isola entrò in questa fase (Bronzo finale, ma ancor di più età del ferro) nella cultura villanoviana. In pratica esce dalla Preistoria per entrare in un periodo protostorico. Tracce di essa si trovano un po' ovunque all'Elba[5]: reperti sparsi nelle aree estrattive, ripostigli di manufatti in bronzo soprattutto nella parte centrale dell'isola, resti di villaggi d'altura sul massiccio del Capanne. Da questi ultimi sappiamo che vivevano in capanne con tetto di frasche ricoperte d'argilla, molto spesso addossate a grotte o coti. E dalla loro posizione geografica e altimetrica intuiamo l'importanza difensiva e di controllo di questi agglomerati. Notiamo che vivevano non solo dei prodotti agricoli e della pastorizia, ma anche di una solida esperienza estrattiva e metallurgica; e che erano ben integrati in una rete di scambi commerciali con i naviganti mediterranei. Padroneggiavano molto bene anche l'arte casearia e la tessitura, e avevano un loro culto.
Questa vivacità culturale ed economica non sfuggì ai grandi ed evoluti popoli del bacino mediterraneo, primi su tutti i greci. E proprio grazie a essi, soprattutto i navigatori e commercianti, che si spingevano al largo della nostra isola, che dobbiamo i primi nomi oggi tramandati. Essi chiamarono l'isola Aethalia, la fuligginosa, poiché era perennemente avvolta dalla cappa di fumo dei numerosi forni fusori, a dimostrazione dell'alacre attività metallurgica; e Porto Argoo, l'attuale Portoferraio, perché rimasero colpiti dal biancore (argos, in greco) delle sue coste settentrionali. Una bella leggenda vuole che il nome derivasse invece dalla mitica nave di Giasone e i suoi argonauti, che in questo porto avrebbe fatto tappa durante la ricerca del vello d'oro.
E' in questo clima di vitalità culturale ed economica che l'Elba entra nella Storia.