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Il secolo spagnolo

  • Nel mentre la Francia di fine XVIII secolo era scossa da una rivoluzione di portata epocale che faceva tremare l'Europa intera, all'Elba le cose scorrevano con il ritmo di sempre.

Il secolo spagnolo

Forte Focardo Porto Azzurro

Può sembrare incredibile che un'isola così piccola come l'Elba sia stata per ben due secoli divisa in tre entità nazionali diverse. Ma per quanto assurdo ciò la dice lunga sul peso strategico che essa costituiva nell'alto Tirreno. Quando nel 1603 una flotta, mandata dal re Filippo III, approdò a Longone (l'odierna Porto Azzurro) e sbarcò uomini e materiali da costruzione, si capì che un pezzo dell'Elba sarebbe diventato spagnolo. Con Portoferraio in mano al granducato di Toscana e il resto dell'isola agli Appiani, si crearono tre realtà distanti anni luce tra loro per governo.

Nonostante le vigorose proteste soprattutto di Ferdinando I Medici, era da mezzo secolo che la mossa spagnola aleggiava. Venne così costruita una piazzaforte, a dominio di una delle rade elbane più sicure. Il costruttore, Garcia de Toledo, pare si ispirasse alla cittadella d'Anversa, con una fortezza protetta da bastioni a scarpa. Era chiaramente congegnata per controbilanciare il peso di Portoferraio, ma non aveva alcuna analogia con essa. Infatti, mentre nella piazza toscana Cosimo vi volle sviluppare un solido tessuto economico e civile, Longone era un presidio prettamente militare, dove i pochi civili erano costretti a vivere secondo i ritmi scanditi dalla guarnigione.

Il battesimo del fuoco fu nel 1646. In quegli anni la Francia, guidata prima da Richelieu e poi da Mazzarino, tramava un modo per sloggiare gli spagnoli dall'Italia. Fu sotto l'energica azione del secondo cardinale che nel 1646 i transalpini sferrarono un'offensiva contro i presidi iberici in Toscana, sfruttando anche la crisi che colpiva il regno di Napoli, scosso da insurrezioni antispagnole. Sbarcati all'Elba, i francesi posero d'assedio Longone, comandata da don Alfonso Covello de Ribera. Per un mese i combattimenti furono aspri. Gli assediati, compresi donne e ragazzi, è respinsero a caro prezzo ogni assalto. Fu utilizzato persino un alto potenziale di esplosivo per creare brecce nella cortina muraria. Tagliati fuori dai rifornimenti, il 31 ottobre, i 665 soldati superstiti del presidio dovettero alzare bandiera bianca. Tale fu il successo dell'operazione che in Francia fu coniata una medaglia a ricordo.

Lo smacco fu talmente cocente che Filippo IV è non perse tempo a costituire una flotta per restituire il colpo. La affidò nientemeno che a suo figlio, don Giovanni di Sicilia, che il 25 maggio 1650 sbarcò all'Elba, forte di 15 mila soldati. Anche in questo caso furono sfruttati i guai interni ai nemici, con la situazione esplosiva creatasi in Francia: essa fu sconvolta da sollevazioni popolari contro il governo, che presero il nome di guerra della fronda. L'assedio si svolse in copia carbone a quello di quattro anni prima, ma a parti invertite. Il 15 agosto il presidio francese dovette uscire dalla fortezza con metà degli uomini scampati alla strage, ridotto allo stremo a causa dei mancati aiuti dalla madrepatria, impegnata come detto prima sul fronte interno.

La minaccia di un nuovo assedio francese era sempre incombente. Per questo gli spagnoli rafforzarono il presidio, soprattutto con la costruzione di una nuova ridotta sulla punta che chiudeva a sud il golfo: nel 1678 iniziarono i lavori del forte Focardo che si conclusero due anni più tardi. In caso di blocco navale il fuoco dei due forti si sarebbe incrociato formando così uno sbarramento all'imbocco della baia.

Agli inizi del XVIII secolo l'Elba, ma più in particolare Longone, si trovò nell'occhio del ciclone di una nuova crisi internazionale. In questi è anni si era scatenata una lotta per assicurarsi il trono di Madrid, rimasto vacante dopo che Filippo IV era morto senza eredi. Nel 1700 la questione dell'investitura si risolse con l'ascesa al trono di Filippo V. I paesi che spingevano per l'incoronazione dell'imperatore Leopoldo I non riconobbero il nuovo re. I rapporti si fecero tesi e sfociarono nella guerra di successione spagnola. Da una parte si formò la coalizione favorevole a Filippo, formata principalmente da Spagna e Francia; dall'altra quella imperiale, costituita da Austria, Inghilterra e Olanda. Madrid si trovò sotto scacco con tutti i suoi possedimenti minacciati.

Nel 1708 una flotta imperiale sbarcò all'Elba, occupando torri e paesi (tranne la neutrale Portoferraio) e ponendo d'assedio Longone, governata da Pinel de Moroy. Dopo alcuni mesi d'assedio gli imperiali sferrarono un deciso attacco al forte Focardo, ma giusto in quel momento arrivarono rinforzi franco-spagnoli che, non solo vanificarono l'offensiva, ma ribaltarono le forze in campo. Pinel, ormai in posizione di superiorità, decise di chiudere la partita effettuando due sortite: nella prima buona parte dei nemici fu spinta all'interno dell'aspra valle del Monserrato, dove è rimase imbottigliata e fu del tutto decimata. Dopo la seconda, a Lacona, gli imperiali, ridotti a pochissimi soldati, non poterono far altro che abbandonare l'isola.

Gli elbani tirarono un sospiro di sollievo, ma il peggio doveva venire. Pinel si convinse che il contegno degli isolani verso gli austriaci fosse stato troppo collaborativo, e li punì con misure draconiane: furono demolite molte difese, come la Torre del Giove e le mura di Capoliveri; furono arrestati sospetti e confiscati o distrutti i loro beni. Non vi è dubbio che in situazioni del genere qualche collaborazionista vi fosse, ma non crediamo di andare lontani dal vero se affermiamo che durante questi assedi la maggioranza degli isolani si mostrasse con gli invasori se non ostile almeno indifferente nel momento in cui non venivano intaccati i loro interessi: in fondo si trattava di una partita a scacchi che si giocava sul loro suolo, ma la cui strategia si pianificava in ambienti lontani anni luce dalle povere campagne elbane, e che gli isolani dovevano solo subire. In ogni caso furono fatte rimostranze alla corte spagnola, che si affrettò a trasferire il governatore.

Negli anni seguenti si consumò il declino della casata Medici. Nel 1723 era diventato granduca Gian Gastone, che cercò di consolidare militarmente il suo stato in opposizione alle ingerenze spagnole, ma questa volta la Toscana si presentò con il prestigio ammaccato di fronte alle grandi potenze. così quando l'infante di Spagna Carlo rilevò le piazze di Livorno e Portoferraio, il granduca non poté opporsi del tutto: nel 1731 la città elbana era sotto il comando spagnolo. Ma ciò fu per pochi anni: nel 1737, alla morte di Gian Gastone, le sorti della Toscana vennero decise altrove e da altri: per volontà delle potenze, che nel 1739 a Vienna avevano ridisegnato la mappa politica d'Europa, il granducato era assegnato ai Lorena, nella persona di Francesco. Anche la situazione nei presidi spagnoli era in sommovimento. Nel 1759 Carlo III di Napoli venne elevato al trono di Madrid, passando le consegne a Ferdinando IV. Longone fu assegnata a Napoli, che era stata costituita regno autonomo nel 1734, e la sua guarnigione inalberò la nuova bandiera sul forte.

Il periodo lorenese fu prospero per Portoferraio, e indirettamente per il resto dell'Elba. Una bella mossa fu quella di stipulare una pace con i musulmani e di fare di Portoferraio un porto strategico, non solo per la flotta toscana, ma anche di altri paesi impegnati contro la pirateria mediterranea. L'Inghilterra arrivò ad apprezzarne le qualità di sicurezza da avanzare un'offerta di acquisto al granduca Pietro Leopoldo. Le proteste di Spagna e Francia per costrinsero il Lorena a interrompere la transazione. Questo rifiorire della sicurezza nel mare si fece sentire: proprio nel Settecento si registra la nascita o comunque lo sviluppo dei paesi costieri, come le Marine di Rio e Marciana e un primo nucleo abitativo fuori dalle mura di Longone.

Per contro, mentre Portoferraio era sottoposto a un governo moderno e attento ai cambiamenti del panorama europeo e Longone viveva sotto le direttive di Napoli ma avendone in cambio larghi approvvigionamenti, il resto dell'Elba, ancora sotto il principato di Piombino, questa volta retto dai Buoncompagni (che peraltro passavano più tempo nelle loro lussuose ville romane che nella piccola capitale), perdurava in un sistema statico e obsoleto. Assistiamo cos, adesso più di prima, a un'Elba a marce diverse che si troverà di fronte a molti problemi di modernizzazione e riadeguamento nel corso dell'Ottocento.

Per saperne di più:

  • G. RACHELI è Le isole del ferro, 1978, Mursia
  • G. VANAGOLLI Turchi e barbareschi all'Elba nel Cinquecento, 1997, Le opere e i giorni
  • G. NINCI Storia dell'isola d'Elba, 1898, Tip. Forni
  • V.VADI Porto Azzurro Nascita, vita e vicende, 1986
  • S. LAMBARDI Memorie antiche e moderne dell'isola d'Elba, 1791

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